Il Plenum della sicurezza a Pechino è il dossier più complicato di Trump

Giulia Pompili

Il leader Xi Jinping apre il piano 2026-2030 tra epurazioni nell’esercito, autosufficienza tecnologica e crescita al 4,8 per cento. Dazi, terre rare e Taiwan sul tavolo in vista del faccia a faccia con Trump all’Apec. Intanto un messaggio all'Australia sul Mar cinese meridionale che in realtà è diretto alla Casa Bianca

Il Partito comunista cinese ha aperto ieri a Pechino il quarto plenum del suo 20° Comitato centrale, l’appuntamento chiave per definire le linee del prossimo piano quinquennale (2026-2030) e quindi  la rotta che prenderà la seconda economia del mondo anche nelle sue relazioni internazionali. Secondo i media ufficiali, il leader cinese Xi Jinping  ha presentato il rapporto di lavoro del Politburo e ha illustrato le sue proposte per il piano, che negli auspici del Partito dovrebbe portare la Repubblica popolare “verso la modernizzazione socialista entro il 2035” e offrire “stabilità e fiducia a un mondo instabile”. Sebbene densi di coreografia, frasi idiomatiche e rituali all’apparenza di difficile comprensione, i plenum sono il momento in cui la leadership cinese si svela al resto del mondo, e annuncia i suoi obiettivi.

 


Secondo diversi analisti, per esempio, nel quarto plenum di quest’anno verrà data molta importanza alla necessità dell’autosufficienza tecnologica – significa produzione tech di alto livello che fino a ora è stata  soltanto importata – oltre alla stretta su sicurezza e controllo: negli ultimi giorni ci sono state diverse epurazioni di alti ufficiali dell’Esercito popolare di liberazione e il licenziamento del rappresentante cinese al Wto, Li Chenggang. 
Qualche giorno fa Scott Bessent, segretario al Tesoro americano, aveva definito Li Chenggang “molto irrispettoso”. Per Bessent, durante uno dei colloqui America-Cina ad agosto, il negoziatore di Pechino aveva minacciato di “scatenare il caos nel sistema globale” se la Casa Bianca avesse introdotto nuovi dazi sul trasporto marittimo cinese. E sebbene ieri in molti osservatori cinesi sottolineassero la coincidenza casuale della fine dell’incarico di Li all’Organizzazione mondiale del commercio, la situazione resta molto tesa, e la relazione con la Repubblica popolare cinese resta il dossier più complicato da gestire per il presidente americano Donald Trump.

 

Tra qualche giorno Bessent dovrebbe incontrare di nuovo il vicepremier cinese He Lifeng in Malesia, ennesimo colloquio propedeutico al cruciale  faccia a faccia tra Donald Trump e il leader cinese Xi Jinping previsto per la fine del mese in Corea del sud, a margine del vertice Apec, un incontro che Trump nei giorni scorsi aveva minacciato di far saltare. Dopo le nuove restrizioni cinesi all’export di terre rare e il rafforzamento dei controlli sui semiconduttori, Washington aveva minacciato di aumentare i dazi sui prodotti cinesi al 100 per cento, salvo poi ritrattare nel fine settimana, quando il presidente americano aveva parlato di una misura “necessaria per mandare un messaggio”, ma che “non può durare a lungo”.

 


Christopher Johnson, ex analista della Cia e oggi presidente del China Strategies Group, ha scritto ieri su Sinocism che “con l’attenzione mondiale concentrata sulla guerra commerciale a intermittenza tra Stati Uniti e Cina, è facile dimenticare che il presidente cinese, proprio come il suo omologo americano, ha preoccupazioni interne ben più urgenti per lui rispetto all’attuale conflitto commerciale”. Le epurazioni hanno portato a molte caselle vuote da riempire, di cui si parlerà al plenum, e che cambieranno la struttura non solo della Difesa cinese ma anche dei rapporti di potere civili. E poi c’è il tema della successione, alla quale non è detto che Xi si opponga, ma più probabilmente  che voglia farlo con maggiore cautela,  facendo spesso riferimento a quello che considera il  fallimento di Mikhail Gorbaciov al Cremlino: “L’ossessione di Xi per il crollo sovietico lo rende presumibilmente determinato a evitare il loro errore”. 

 


Anche sul piano economico, dietro l’ottimismo ufficiale, la Cina attraversa un periodo sempre più complicato. Secondo il Washington Post, nel terzo trimestre la crescita è rallentata al 4,8 per cento, il ritmo più debole dell’ultimo anno. “L’economia regge, ma probabilmente a un livello più basso di quanto indicano i dati ufficiali”, ha detto al Post Julian Evans-Pritchard, capo della ricerca sulla Cina di Capital Economics. “Il problema è che la crescita dipende sempre più dalle esportazioni, mentre la domanda interna resta debole: uno schema insostenibile nel lungo periodo”. Anche il settore immobiliare continua a rappresentare un freno, con un calo degli investimenti quest’anno del 14 per cento. Pure la produzione industriale, che invece mostra segnali positivi (+6,5 per cento a settembre) ma da sola non basterà a compensare la stagnazione dei consumi (tanto meno la promozione del  turismo straniero).
Ieri, prima di incontrare per la prima volta alla Casa Bianca il primo ministro australiano Anthony Albanese, Trump ha detto ai giornalisti che forse con Xi parlerà anche di Taiwan e delle rivendicazioni territoriali illegittime della Cina. L’Australia resta un alleato fondamentale dell’America nell’Indo-Pacifico anche per limitare l’espansionismo cinese, ma  più volte questa Amministrazione ha messo in discussione il patto di difesa Aukus sui sottomarini nucleari. Ieri Trump ha lasciato intendere che l’accordo resta in piedi, ma poi ha firmato il potenziamento della lavorazione congiunta delle terre rare in Australia. Nelle stesse ore, la Cina ha risposto lanciando razzi di segnalazione “pericolosamente vicino” a un aereo dell’Aeronautica militare australiana che stava effettuando pattugliamenti sul Mar cinese meridionale, area che Pechino rivendica come parte del proprio territorio.

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  • Giulia Pompili
  • È nata il 4 luglio. Giornalista del Foglio da più di un decennio, scrive soprattutto di Asia orientale, di Giappone e Coree, di Cina e dei suoi rapporti con il resto del mondo, ma anche di sicurezza, Difesa e politica internazionale. È autrice della newsletter settimanale Katane, la prima in italiano sull’area dell’Indo-Pacifico, e ha scritto tre libri: "Sotto lo stesso cielo. Giappone, Taiwan e Corea, i rivali di Pechino che stanno facendo grande l'Asia", “Al cuore dell’Italia. Come Russia e Cina stanno cercando di conquistare il paese” con Valerio Valentini (entrambi per Mondadori), e “Belli da morire. Il lato oscuro del K-pop” (Rizzoli Lizard). È terzo dan di kendo.