
Smascherare la truffa dell'umanitarismo politico in medio oriente
Francesca Albanese non è un caso isolato: il suo approccio, che punta a nazificare Israele, è condiviso dall’istituzione che rappresenta. E lo schermo dell’Onu al terrore di Hamas funzionava già prima del 7 ottobre. Un ostacolo per una pace duratura
Le polemiche maturate nelle ultime settimane attorno a Francesca Albanese hanno fatto discutere per una ragione buona e per una sbagliata. La ragione buona, naturalmente, è quella che riguarda ciò che la relatrice speciale dell’Onu per i territori palestinesi occupati ha detto sugli ostaggi prima e sulla Segre dopo, e non bisogna essere degli scienziati della politica per capire quanto abbia avuto ragione Giuliano Amato a considerare le parole di Albanese su Segre come parole semplicemente infami (Albanese, come ricorderete, aveva detto che Segre non poteva essere lucida rispetto a ciò che succedeva a Gaza perché in quanto superstite dell’Olocausto su alcuni temi è troppo coinvolta emotivamente) e per capire quanto abbia avuto ragione chi ha fatto notare in queste ore che vergognarsi di parlare di ostaggi quando gli ostaggi erano ancora in cattività significava semplicemente voler considerare la strategia del terrore di Hamas come una strategia legittima per poter arrivare al raggiungimento di un sogno chiamato stato palestinese (dedicato a tutti coloro che per due anni hanno sostenuto che la guerra a Gaza non sarebbe mai finita perché Hamas non si sarebbe mai arresa: è successo).
Le polemiche su ciò che ha detto Albanese in queste settimane hanno però messo da parte una questione altrettanto importante che il ruolo di Albanese avrebbe dovuto suggerire. La questione rimossa riguarda il fatto che la signora Albanese è tuttora una rappresentante dell’Onu e la domanda che sarebbe stato lecito porsi, soprattutto tra i suoi follower, in fondo era e resta semplice: l’approccio che Albanese ha sui temi mediorientali, un approccio che punta alla nazificazione di Israele, è un approccio che nasce da una particolare e per quanto detestabile legittima convinzione – anche l’odio è un diritto – o è un approccio che riguarda non solo una singola persona ma anche l’istituzione che Albanese rappresenta? La questione è delicata, naturalmente, ma è una questione necessaria da affrontare per provare a non ignorare l’elefante nella stanza, ovvero un tema che in troppi in questi anni hanno cercato di non vedere. In sintesi: le Nazioni Unite hanno commesso un errore a scegliere un profilo come quello di Albanese sui temi legati al medio oriente o l’errore è pensare che la scelta delle Nazioni Unite non sia figlia di un preciso approccio che hanno i professionisti dell’umanitarismo politico quando parlano di medio oriente?
Sarebbe bello, e facile, dire che Albanese è una mela non buona nell’albero dell’impeccabile Onu. Purtroppo però se si riavvolge il nastro di questi anni si capirà che il metodo Albanese è lo stesso metodo adottato negli anni dalle Nazioni Unite per provare a rapportarsi alle questioni mediorientali. Con uno schema di gioco preciso e lineare: criminalizzare Israele, senza se e senza ma, ignorare le minacce subite da Israele nel corso del tempo, chiudere gli occhi sulle atrocità dei suoi nemici, non intervenire con tempismo per evitare che i nemici di Israele, che fino a prova contraria sono gli stessi nemici che ogni giorno minacciano la sicurezza e il benessere dell’occidente e dei suoi alleati, potessero utilizzare lo schermo dell’Onu per portare avanti la propria agenda del terrore. Si potrebbe ricordare, in questo senso, che in perfetto stile Albanese le Nazioni Unite, nel 2023, affidarono all’ambasciatore iraniano Ali Bahreini la presidenza dell’UN Human Rights Council Social Forum (la Siria di Assad è stata per anni nel Comitato per i diritti umani dell’Unesco). Si potrebbe ricordare, sempre per restare sullo stesso filone, che nel 2023, prima del 7 ottobre, l’Assemblea delle Nazioni Unite ha adottato 14 risoluzioni che stigmatizzavano Israele e sette per tutto il resto del mondo. Si potrebbe ricordare il fallimento assoluto dell’Onu nel far rispettare una sua risoluzione, la 1701, firmata l’11 agosto 2006, che imponeva in Libano un cessate il fuoco generale, un dispiegamento delle forze Unifil a sud, l’arretramento dei terroristi di Hezbollah al di qua del confine del fiume Litani e il disarmo degli Hezbollah, cosa che non è accaduta, e c’è voluto un intervento brutale ma efficace dell’esercito israeliano, nel 2024, per ristabilire i confini fissati da quella risoluzione.
Ma tutto questo non è sufficiente per capire che cosa è successo in medio oriente ancor prima del 7 ottobre. E per capire qualcosa di più su quelle che sono state, diciamo così, le sottovalutazioni fatte dall’Onu a Gaza, prima del 7 ottobre, può essere utile dare uno sguardo a una pagina interessante aperta dalle Nazioni Unite a settembre, un mese fa, per spiegare con chiarezza, e senza speculazioni, quali sono stati a Gaza, prima del 7 ottobre, i rapporti e le interazioni con Hamas, anche quando non voluti. Se si scorre tra le pagine del rapporto dell’Onu (ripetiamo: dell’Onu), si scoprirà che l’Onu ha indagato 19 dipendenti dell’Unrwa che lavoravano a Gaza: in nove casi le evidenze, “se autenticate e corroborate”, potrebbero indicare, scrive l’Onu, un coinvolgimento negli attacchi del 7 ottobre, e in via prudenziale i rapporti di lavoro sono stati risolti nell’interesse dell’Agenzia. (Unrwa non conferma appartenenze a Hamas, dice ancora l’Onu, “ma riconosce questo rischio potenziale e i provvedimenti presi”). A questo poi potremmo aggiungere altre valutazioni. Che pur disponendo di rapporti e immagini satellitari che mostravano basi e tunnel di Hamas sotto scuole e ospedali, le agenzie Onu – in particolare Unrwa e Ocha – hanno esitato a denunciare apertamente la strategia degli scudi umani portata avanti da Hamas. Che nelle risoluzioni Onu, Hamas è raramente definita “organizzazione terroristica”. L’Onu usa formule come “militant group” o “Palestinian armed group”.
A queste storie se ne potrebbero aggiungere molte altre, naturalmente, e si potrebbe aggiungere anche il fatto che dal 2021 il Segretariato dell’Onu ha un “inviato speciale contro l’antisemitismo”, ma mai una risoluzione Onu ha definito l’antisemitismo anti israeliano come discriminazione. L’umanitarismo militante, in questi anni, in medio oriente, piuttosto che creare le condizioni per il mantenimento della pace ha fatto di tutto per trasformare gli aggrediti in aggressori e gli aggressori in aggrediti. E non ci vuole molto a capire che nel futuro del medio oriente le possibilità di avere una pace duratura dipenderanno anche dalla capacità di smascherare la truffa dell’umanitarismo militante trasformando la difesa di Israele non in una minaccia per la pace ma nell’unica garanzia possibile per avere un futuro diverso dal passato. Un futuro in cui i finanziatori del terrore vengono puniti, non premiati. Un futuro in cui i metodi dei terroristi vengono condannati, non minimizzati. Un futuro in cui i difensori della democrazia vengono protetti, non sanzionati. Albanese è il dito. La luna si chiama Onu. E più resterà lontana dagli accordi di pace in medio oriente, più la pace avrà forse la possibilità di essere duratura.