
in israele
L'ultimo viaggio di Joshi Bipin
Israele saluta lo studente nepalese ucciso durante la prigionia di Hamas. Il 7 ottobre Bipin aveva cercato di resistere all'attacco dei terroristi nel kibbutz Alumin, poco prima dell'accordo di Trump era comparso un suo video. Il rapimento, la morte, il ricordo dei sopravvissuti
“Grazie per tutto quello che hai fatto per il nostro Kibbutz e per il tuo amore nei confronti del nostro Paese. Non ci perdoneremo mai abbastanza per non averti potuto salvare la vita.” Sono state queste le parole con cui Tamir Idan – Direttore del Consiglio regionale dei Kibbutz del Negev - ha salutato Joshi Bipin domenica mattina, presso il Monumento ai Caduti dell’Aeroporto Ben Gurion, prima che la sua salma facesse finalmente ritorno, dopo oltre due anni nelle mani di Hamas, nella sua terra natale: il Nepal.
Bipin era un giovane studente nepalese di agricoltura, arrivato in Israele a 23 anni per partecipare a un programma internazionale di formazione agricola “Learn and Earn”. Viveva e lavorava nel kibbutz Alumim, vicino al confine con Gaza, quando il 7 Ottobre Hamas lanciò il suo attacco improvviso nel Negev.
Secondo i sopravvissuti al massacro, Bipin mostrò un coraggio straordinario, riuscendo a deviare più di una delle granate ripetutamente lanciate dai terroristi sui civili inermi, e provando a mettere in salvo alcuni dei sopravvissuti, prima di essere catturato nella Striscia.
Dopo la sua comparsa in un video rilasciato dal gruppo terrorista a ridosso del Sabato Nero, per quasi due anni il suo destino è rimasto uno dei misteri più dolorosi di quell’interminabile giornata. Bipin, infatti, è stato l’unico cittadino Nepalese – oltre ai 10 uccisi lo stesso 7 Ottobre - le cui sorti sono rimaste sconosciute fino allo scorso lunedì. La conferma definitiva della sua morte è arrivata solo il 13 ottobre, quando Hamas ha rilasciato la lista dei 20 ostaggi ancora vivi - che lo stesso giorno sarebbero finalmente tornati in patria - assieme a quella dei restanti 28 ostaggi morti, di cui oggi ancora 16 prigionieri nell’enclave.
Il corpo di Bipin è stato finalmente riconsegnato ad Israele il 16 ottobre, per poi essere rimpatriato il 19. Prima che la sua salma lasciasse il suolo israeliano, il Ministero degli Esteri, in collaborazione con Mashav - l’Agenzia israeliana per la cooperazione internazionale allo sviluppo - hanno tenuto una cerimonia di commiato all’Aeroporto, a cui hanno partecipato e gli hanno reso omaggio funzionari governativi, l’Ambasciata nepalese in Israele e quella israeliana in Nepal e, in prima fila, il Forum per le famiglie degli ostaggi.
Tra chi è accorso a salutare per l’ultima volta Bipin non sono mancati i membri del kibbutz Alumim e numerosi privati cittadini che hanno avvertito la necessità, oltre che portare le condoglianze alla sua famiglia, di chiudere il cerchio di lutto che ormai da due anni – e che non si concluderà fino al ritorno dell’ultimo ostaggio - viene vissuto intensamente da tutti gli israeliani, anche nei confronti delle vittime di altre nazionalità.
Va ricordato, infatti, che Bipin non è stato l’unico cittadino straniero ad essere stato attaccato, rapito – e brutalmente ucciso – il 7 Ottobre o, come nel suo caso, durante la prigionia.
Sono 41 i lavoratori stranieri che sono stati rapiti da Hamas, di cui 5 uccisi nel corso della prigionia, tra questi Sobthaya Oakkhararsi, tailandese - il cui corpo è stato restituito ieri - mentre di Natapong Pinta e Sudthisak Rinthalak, sempre tailandesi, non è ancora stata restituita la salma, come quella di Joshua Loitu Mollel, cittadino tanzano.
Tra i cittadini stranieri che lavoravano nei kibbutz quelli a essere stati maggiormente colpiti sono stati proprio i tailandesi: 42 uccisi il 7 ottobre e 31 rapiti. Di questi 23 sono stati restituiti nel Novembre 2023 - nel corso del primo scambio tra ostaggi israeliani e prigionieri palestinesi - e 5 durante il cessate il fuoco di Gennaio.
Nonostante tutto il dolore e il senso di colpa per la sua morte, Bipin è stato salutato dagli israeliani e dal suo kibbutz con un grande messaggio di speranza, anche nei confronti del futuro della regione: “Non ti dimenticheremo mai – ha concluso Tamir Idan - e ti promettiamo che continueremo a lavorare per rendere la terra del kibbutz che tanto amavi, e Israele, un luogo meraviglioso.”