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Come un finto studente di Legge ha tentato di influenzare il caso Xu in Italia
Una storia di tentativi di manipolazione e influenza cinese in Italia
Dietro un’email scritta in un italiano stentato, la traccia di un tentativo goffo ma rivelatore di orientare la discussione pubblica sul caso dell’informatico cinese arrestato a Malpensa. Un piccolo episodio che racconta molto delle nuove forme di ingerenze, anche sui media
Questo articolo è un estratto da Katane, la newsletter settimanale del Foglio sull'Indo-Pacifico. Se vuoi riceverla, questo è il link.
Vi ricorderete di Xu Zewei, l'informatico cinese di 33 anni arrestato lo scorso 3 luglio all'aeroporto di Malpensa in esecuzione di un mandato delle autorità americane. Il suo è un caso complicato per i giudici italiani: l'Fbi lo accusa di spionaggio per conto del ministero della Sicurezza di Pechino, e nella fattispecie avrebbe violato i sistemi americani per rubare segreti sui vaccini per il Covid. Ma lo è soprattutto perché la sua estradizione è già un caso politico, in cui l'Italia si trova al centro fra America e Cina.
Il 21 settembre scorso ricevo sulla posta elettronica del Foglio un messaggio: "Spettabile Sig.ra Giulia Pompili, sono uno studente della Facoltà di Giurisprudenza presso l’Università degli Studi di Roma". Il mittente si firma con un nome e cognome italiano, sebbene il suo indirizzo gmail sia un codice alfanumerico già di per sé un po' sospetto. Lo "studente" scrive in un italiano anomalo, arcaico, deferente, fa macroscopici errori grammaticali sulle concordanze, ma dice di aver letto il mio articolo sul caso e di voler "fornire alcune nuove prospettive e punti di partenza per eventuali sue notizie successive".
Ciò che vuole far emergere lo "studente" al terzo anno di Legge è che il reato di cui è accusato Xu sarebbe politico, e la nostra Costituzione vieta l'estradizione per reati politici (art. 26). Dice inoltre che se volessi "acquisire i pareri più professionali, penso che intervistare Enrico Giarda, l'avvocato difensore sia una buona scelta". La difesa di Xu fino a questo momento è stata quella dello scambio di persona, anche se il suo team legale, durante l'udienza per l'estradizione del 1° ottobre scorso, ha usato la stessa argomentazione: è un reato politico quello a lui ascritto, e quindi non può esserci estradizione. Per Xu il suo arresto sarebbe parte "di una strategia politica di persecuzione della popolazione cinese da parte degli Usa".
Ma perché uno studente al terzo anno di Giurisprudenza della Sapienza dovrebbe essere così appassionato di questo caso? Nello scambio, il mio interlocutore dice di aver sottoposto la questione a riviste specializzate senza successo, quindi ora "sto cercando di rivolgermi ai media pubblici. Inoltre sono sicuro che può attirare più attenzione e provocare molte riflessioni preziosa su questo importante tema". Quando gli chiedo di vederci di persona per parlarne, lo studente non risponde. Quando gli faccio domande inerenti alla sua vita universitaria, non risponde.
Non risponde proprio più a partire dal 28 settembre scorso. Nella sua ultima email mi segnala l'articolo scritto da Luigi Ferrarella per il Corriere della Sera, che parla del problema del "reato politico" che dovrà affrontare la magistratura e poi, eventualmente, il ministro della Giustizia Nordio.
Le stesse email, dallo stesso mittente, sono arrivate anche al giornalista Gabriele Carrer, che ne ha scritto qui.
Per chi fa questo mestiere, messaggi simili sono un campanello d'allarme. Prima di aprire qualunque link, prima di ingaggiare una conversazione, si fa sempre un check sicurezza in agenzie che offrono servizi cyber. La mail dello studente non era stata segnalata in alcun database, ma ci sono pochi dubbi sul fatto che fosse scritta con l'aiuto di traduttori o intelligenza artificiale, che ci fosse una o più persone dietro alla conversazione sul caso, e che l'obiettivo fosse quello più intuitivo: manipolare la discussione pubblica sul caso Xu, che in realtà in Italia sembra già in parte dimenticato (eppure dovremmo ricordarcene, soprattutto visto che siamo stati vittime spesso nel nostro paese della cosiddetta "diplomazia degli ostaggi").
Il 9 ottobre scorso la Cassazione ha respinto il ricorso per concedere i domiciliari a Xu, che resta in carcere.
Il dibattito politico sulle ingerenze straniere in Italia
Due giorni fa è stata approvata la risoluzione sulle "Ingerenze straniere nei processi democratici degli Stati membri dell'Unione europea e nei paesi candidati" votata congiuntamente dalle Commissioni Esteri, Difesa e Politiche dell'Ue del Senato italiano. Per mesi, i membri delle commissioni hanno audito esperti e fatto un lavoro di studio sul problema delle influenze straniere nel nostro sistema democratico, soprattutto quelle ingerenze che arrivano da Russia e Cina, cioè un pezzo fondamentale della guerra ibrida di cui si parla sempre di più recentemente.
La risoluzione approvata, però, è molto meno diretta e chiara del testo che alcuni si aspettavano - per esempio non chiede più al governo di attrezzarsi concretamente con un sistema di coordinamento. Il motivo? Questioni politiche.
Il Movimento cinque stelle, per esempio, si è astenuto nella votazione: aveva chiamato in audizione l'ambasciatore russo in Italia, per sentire la famosa "altra campana", e che per ovvie ragioni non è stato accolto. Secondo il M5s "influenze straniere" sono da considerarsi anche le attività di Jeff Bezos e Elon Musk – che coincidenza, lo dice anche gran parte della propaganda russa. Pure "la Lega di Matteo Salvini, che aveva fatto rinviare più volte il voto e chiesto diverse modifiche", ha scritto sorprendentemente il Fatto quotidiano, che su questo punto ha condiviso spesso la linea del Carroccio, "ha detto sì ma con una condizione fondamentale: l’esclusione di ogni riferimento sulla propaganda russa in Italia". Il senatore Claudio Borghi non ha partecipato al voto.
Chi non perde la speranza è il senatore di Italia Viva Enrico Borghi, che ha scritto: "Il Parlamento italiano, con un voto trasversale, ha certificato che vi sono soggetti statali e non statali stranieri, esterni all’Ue, che ricorrono sempre più spesso alla manipolazione delle informazioni e ad altre modalità per interferire nei processi democratici degli Stati membri e dei Paesi candidati".