
GettyImages
L'incontro
Sharaa va da Putin e chiede la testa di Assad in cambio delle basi
Per il jihadista diventato presidente ora è tempo di parlare di affari, per portare la Siria fuori dal baratro dopo 14 anni di guerra civile, e della restituzione del dittatore deposto. Ma il Cremlino non vuole dare l'idea di essere colui che si disfa dei vecchi amici alla prima difficoltà
Arrivato al Cremlino, Ahmed al Sharaa ha stretto la mano a Vladimir Putin, consegnandoci un’istantanea difficilmente pronosticabile fino a poco meno di un anno fa. Sembrava una storia finita, quella fra la Russia e la Siria, con la flotta di Mosca smobilitata in fretta e furia dalla base di Tartus e la fuga del dittatore deposto, Bashar el Assad, per nascondersi tra le braccia dell’alleato russo. Invece, da mesi gli eventi hanno cominciato a prendere una direzione ben diversa. Incontri politici, riunioni tecniche, dichiarazioni pubbliche fra Damasco e Mosca hanno sancito la ripresa delle relazioni fra i due paesi. A luglio, il ministro degli Esteri siriano, Asaad al Shaibani, era volato al Cremlino, ma già a gennaio, poche settimane dopo la caduta del regime, Mikhail Bogdanov, viceministro della Difesa russo, aveva incontrato i vertici dei ribelli siriani. Fino a oggi, quando seduti l’uno al fianco dell’altro, Sharaa e Putin si sono ritrovati a scambiarsi elogi (“le elezioni parlamentari in Siria sono un passo verso la stabilizzazione”, ha detto il presidente russo) e battute (“ci sono tante scale da fare per salire fino a questa stanza del Cremlino, è ora che mi rimetta a fare sport”, ha scherzato il presidente siriano).
Sia chiaro, credere che Sharaa veda Putin con gli stessi occhi con cui lo faceva Assad sarebbe un errore. Il jihadista diventato presidente ricorda bene i bombardamenti russi sui civili, i massacri, le armi chimiche. Ma per Sharaa, Mosca non è Teheran e ora è tempo di sedersi per parlare di affari e di basi militari. Recentemente, nella sua chiacchierata a spasso tra le macerie di Jobar, una delle periferie di Damasco distrutte dai bombardamenti del regime, il presidente raccontava alla giornalista americana Margaret Brennan di “60 Minutes” che “entrare in conflitto con la Russia in questo momento sarebbe troppo costoso. Né sarebbe nell’interesse della Siria”.
A monte, c’è il tema dei temi, quello che Sharaa sogna di capitalizzare in termini di consensi fra tutti i siriani: la restituzione di Bashar el Assad e di altri esponenti del regime ora in Russia. Ma è difficile farsi illusioni e non è un caso che il comunicato del Cremlino che annunciava la visita del presidente siriano non menzionasse mai Assad. “Ci sono milioni di siriani costretti a vivere sotto le tende, mentre Putin e Assad vivono a Mosca. E’ giustizia questa?”, ha chiesto a un certo punto la Brennan a Sharaa, in giacca chiara e occhiali da sole. “Useremo ogni mezzo legale consentito per riportare Assad alla giustizia”, ha risposto. Putin però non intende dare l’idea di essere colui che si disfa dei vecchi amici alla prima difficoltà, non vuole creare precedenti pericolosi. La settimana scorsa il Figaro ha riportato la notizia di un presunto tentativo di avvelenamento di Assad. Fake news, ha smentito il ministro degli Esteri di Mosca, Sergei Lavrov.
Oltre al sogno di riavere tra le mani Assad, c’è la realtà, l’urgenza di portare la Siria fuori dal baratro in cui è stata condotta da 14 anni di guerra civile, con 13 milioni di abitanti di cui la metà sfollati interni. E la realtà dice che fare affari con la Russia, dialogare, confrontarsi potrebbe portare solamente benefici. Hanna Notte ha scritto su Foreign Affairs che, per Sharaa, Putin è uno strumento da potersi giocare agli occhi dell’occidente, giusto per ricordare che la Siria si guarda intorno, che è aperta ad ascoltare tutti, Mosca inclusa. E Putin può offrire tanto, in effetti, in cambio di mantenere il controllo della base navale di Tartus – per la quale si parla di una possibile “riqualificazione” come hub per ricevere “aiuti umanitari” dalla Russia – e di quella aerea di Latakia. Il grano, tanto per cominciare, di cui la Siria ha un disperato bisogno. Ad agosto le forniture di cereali provenienti dalla Russia hanno ripreso la rotta della Siria e altre potrebbero arrivarne. Poi c’è il petrolio russo a basso prezzo che dall’inizio dell’anno ha continuato a fluire nei depositi siriani come niente fosse, trasportato da cargo spesso sottoposti a sanzioni internazionali. E infine c’è il sostegno politico che può garantire Putin in quanto membro permanente al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite. Preservare le buone relazioni significa per Sharaa avere il voto garantito per qualsiasi risoluzione Onu in grado di liberare la Siria dalle sanzioni che ancora gravano su di lui, sulla sua milizia islamista di Hayat Tahrir al Sham e sul suo fidato ministro dell’Interno, Anas Khattab.
Eppure, l’amicizia ritrovata fra Damasco e Mosca cela dei rischi. In estate, la società di stato russa Goznak ha siglato un accordo per stampare le nuove banconote siriane, mantenendo un appalto che già deteneva ai tempi di Assad. Si tratta di un’arma pericolosa in dotazione del Cremlino, che l’ha già impiegata in Libia, dove la stessa società è stata sanzionata per avere stampato 1 miliardo di dollari in banconote false, peggiorando la situazione economica del paese nordafricano. Sharaa tira dritto e sembra voler dimostrare di avere bisogno di tutti, ma di non volere dipendere da nessuno, l’esatto opposto della cieca dipendenza che invece Assad aveva costruito con Putin. Se il suo piano avrà successo è tutto da vedere.