
L'editoriale dell'elefantino
Macronismo in crisi, ma anche il gollismo non si sente tanto bene
Si riaffaccia in Francia la repubblica parlamentare, con i suoi blocchi di opinione e di voto, i suoi diritti di veto, i suoi inceppati meccanismi di compromesso. L’Italia se l’è cavata così per anni, con i partiti, con la celebre partitocrazia
Diciamo che a Macron il tiro di dadi, lo scioglimento del parlamento, non ha portato il numero fortunato. Non vedo che alternative avesse, dopo il crollo del centro alle politiche e il trionfo dei lepenisti alle elezioni europee, ma certo la sfiga piena di smalto e ruzzoloni è il carattere finale del macronismo, con l’Eliseo al 14 per cento di consensi secondo i sondaggi e un povero monaco-soldato ricondotto a Matignon in circostanze grottesche per fare cose che non potrà fare. Sfortuna e errori, combinazione malefica. Diciamo così. Sull’impossibilità di un presidente liberale per un paese fieramente giacobino, un assetto mentale di massa non privo di ombre lugubri, si sono già espressi in molti, e anche qui se ne è scritto.
Ma è anche indispensabile ragionare su un altro aspetto della crisi francese: il ritorno del parlamentarismo e dei partiti, due presidenze prima di Macron interrotte al primo mandato tra lazzi frizzi e accuse da galera (Hollande e Sarkozy), dunque la decadenza del gollismo e della sua V Repubblica, Costituzione e istituzioni fatte per limitare il peso dei partiti a favore del famoso incontro di un uomo e della nazione realizzato dall’elezione presidenziale, in origine per ben sette anni, di un capo indiscusso e indiscutibile, che incarna la patria, dirige il governo attraverso un premier che è il suo capo di gabinetto, ha facoltà di vita e di morte nei campi della difesa e della politica estera. Col tempo, in mancanza di solidi eredi come a loro modo furono Pompidou Giscard e Mitterrand (sopra tutto quest’ultimo, intriso di machiavellismo), si riaffaccia la repubblica parlamentare, con i suoi blocchi di opinione e di voto, i suoi diritti di veto, i suoi inceppati e in Francia inabituali meccanismi di compromesso.
Nel nostro sistema italiano, trasformismo più consociativismo, i partiti, la celebre partitocrazia, risolvevano molte cose. Facevano e controllavano il debito pubblico, cambiavano governi e assetti parlamentari con una certa disinvoltura, adottavano un profilo del piede di casa, subalterno, nelle grandi scelte internazionali, salvo arrivare alla fin fine, con la leadership americana e con la linea europeista, alle scelte giuste, sceglievano i tempi della politica, ingabbiavano o incanalavano le pulsioni sociali, le collere, e anche le ignavie popolari. Il sistema a suo modo funzionava e per distruggerlo ci volle una rivoluzione o un colpo di tipo esterno e violentissimo, quello giudiziario o mediatico-giudiziario. Con molti Andreotti e qualche Goria a disposizione, per combinazioni di maggioranza versatili e improvvisate, ci governavamo così così ma non avevamo bisogno di un minoritario Lecornu, e nessuno attirava i fulmini come Macron, uno Jupiter al contrario (Zeus i fulmini li scagliava). La consumazione della V Repubblica potrebbe fermarsi, per un imprevedibile rilancio, con un nuovo presidente, ma c’è da dubitarne. Se la crisi riguarda l’intolleranza verso il liberalismo e contemporaneamente il declino della soluzione nazional-sovranista e monarco-repubblicana del gollismo, bè, bisogna pensare che è crisi seria, di sistema, e che va al di là delle responsabilità di un talento politico che, a parte gli errori, di cose ne ha fatte, dalla politica europea alla riforma del mercato del lavoro e delle pensioni, e per due mandati consecutivi.

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