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la tregua in medio oriente

Israele si prepara ad accogliere gli ostaggi. I ricatti di Hamas dietro all'invito a Trump

Micol Flammini

Dopo il ritiro di Tsahal da Gaza, comincia la prova più delicata: la liberazione dei quarantotto ostaggi israeliani in cambio di quasi duemila detenuti palestinesi. Trump prepara la sua visita in Israele per celebrare un accordo fragile. Restano i dubbi sul rispetto degli impegni da parte di Hamas e sul futuro della Striscia

Tel Aviv, dalla nostra inviata. Gli emissari di Donald Trump, Steve Witkoff e Jared Kushner, hanno infilato i bigliettini con le loro preghiere per il successo dell’accordo fra Israele e Hamas nel Muro del pianto, a Gerusalemme. Da ora si inizierà a capire cosa funzionerà, cosa potrà andare storto. Tsahal si è ritirato. L’operazione è stata delicata e, per il momento, i soldati controllano ancora il 53 per cento della Striscia e si sono posizionati lungo le linee che occupavano nella prima parte dell’operazione Carri di Gedeone, prima dell’attacco alla città di Gaza. Il ritiro si è svolto in fretta per fare in modo che le settantadue ore concesse a Hamas per liberare gli ostaggi iniziassero il prima possibile. Dentro la Striscia i civili hanno cominciato a muoversi per uscire dalle zone umanitarie, verificare lo stato delle loro case e trovare nuovi  posti in cui abitare. 

Le cose non andranno come Donald Trump aveva detto annunciando il suo piano, Hamas non rilascerà ostaggi vivi e ostaggi morti lo stesso giorno: prima torneranno i sopravvissuti, poi i corpi. Se i terroristi non rispetteranno gli impegni presi per la liberazione dei quarantotto rapiti, la guerra ricomincerà. Il dubbio tormenta le famiglie degli ostaggi in stato di euforia, i soldati che pensano già a riprendere le vita interrotte da due anni e i palestinesi che dovranno ricominciare da zero tra le macerie. Se Hamas non rispetterà gli impegni o cercherà di ritardare il ritorno degli ostaggi, tutto lo sforzo di mediazione sarà distrutto, con conseguenze prevedibili: la guerra ricomincerà per eliminare ogni cellula del gruppo dei terroristi e questa volta Israele avrà il sostegno totale degli Stati Uniti e implicito dei paesi arabi che appoggiano il piano delineato da Trump. Nessuno vuole lasciare spazio al pessimismo, il momento è storico, era atteso con necessità, non c’è il tempo per considerazioni che guardano al peggio, bisogna già cominciare a pensare al dopo. Israele è pronta per accogliere gli ostaggi, le questioni pratiche sul trasporto sono state concordate: i terroristi, senza le cerimonie crudeli dell’ultimo cessate il fuoco durante le quali avevano costretto gli ostaggi a mostrare gratitudine nei loro confronti e li avevano esposti davanti a folle minacciose e urlanti, consegneranno i rapiti alla Croce rossa. La Croce rossa poi accompagnerà i sopravvissuti in una base dell’esercito israeliano dentro Gaza e a seconda delle loro condizioni verranno trasportati in aereo o in macchina fino allo Sheba medical center di Ramat Gan o al Beilinson di Petah Tikva. Le stanze per accoglierli sono già pronte, le squadre di medici e psicologi hanno preparato il protocollo per la loro accoglienza. Gli ostaggi  tornati durante l’ultimo cessate il fuoco hanno portato informazioni sullo stato di salute di chi è rimasto a Gaza, delle torture subite, della mancanza di igiene e nutrimento e di una malattia della pelle che diversi prigionieri hanno contratto  nei tunnel. Da allora però sono trascorsi otto mesi, le condizioni di chi è rimasto sono peggiorate e le informazioni portate dai sopravvissuti potrebbero essere già sorpassate. 

Per salvare gli ultimi ostaggi rimasti nella Striscia, rapiti da Hamas il 7 ottobre, Israele dovrà liberare duecentocinquanta palestinesi condannati all’ergastolo per terrorismo e millesettecento arrestati dal 7 ottobre. Hamas ha ceduto sui nomi di Marwan Barghouti, Ahmad Saadat, Abbas el Sayed. Nessuno di loro è di Hamas, la loro scarcerazione voleva essere per i terroristi una prova di forza per mostrare agli altri gruppi palestinesi di essere ancora il più organizzato e potente. Non ci è riuscito e difficilmente si sarebbe intestardito. Dalle carceri di Israele usciranno alcuni degli organizzatori di attentati feroci, come  Hilmi Abdul Karim Hammash, autore dell’attacco all’autobus 19 a Gerusalemme: vennero uccisi 11 israeliani. Anche Raad Sheikh, agente di polizia palestinese che prese parte al linciaggio di Ramallah in cui vennero uccisi due soldati israeliani sarà scarcerato: l’omicidio è avvenuto il 12 ottobre del 2000, saranno trascorsi quasi venticinque anni esatti. Molti dei detenuti che usciranno di prigione saranno di Hamas, menti di attentati, autori di accoltellamenti, sparatorie e pestaggi. 

Il prezzo di questa promessa di pace, che per ora è soltanto l’inizio di un cessate il fuoco, del ritiro israeliano e della speranza che Hamas liberi davvero gli ostaggi, è alto. Il primo ministro Benjamin Netanyahu nel suo ultimo discorso ha minacciato il gruppo della Striscia che non basterà assecondare le richieste della prima parte dell’accordo, ma dovrà anche rispettare il disarmo imposto dalle condizioni. Se si crede davvero che gli ostaggi stiano per tornare, i dubbi sulla possibilità che Hamas abbandoni anche la sua seconda arma di ricatto, razzi, granate e fucili, sono molti. Per ora è il momento delle celebrazioni, Trump arriverà domenica sera, lunedì terrà un discorso alla Knesset, il Parlamento israeliano, poi andrà in Egitto, dove il suo accordo ha preso forma e infine ha ottenuto anche un invito da parte di Hamas a visitare la Striscia: ecco un segnale che il gruppo non ha intenzione di mollare il potere a Gaza. 

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  • Micol Flammini
  • Micol Flammini è giornalista del Foglio. Scrive di Europa, soprattutto orientale, di Russia, di Israele, di storie, di personaggi, qualche volta di libri, calpestando volentieri il confine tra politica internazionale e letteratura. Ha studiato tra Udine e Cracovia, tra Mosca e Varsavia e si è ritrovata a Roma, un po’ per lavoro, tanto per amore. Nel Foglio cura la rubrica EuPorn, un romanzo a puntate sull'Unione europea, scritto su carta e "a voce". E' autrice del podcast "Diventare Zelensky". In libreria con "La cortina di vetro" (Mondadori)