
Un posto di blocco a Suwayda (foto Getty)
La mappa dopo il voto
Da nord a sud, tutti i vuoti di potere in Siria
Nonostante le elezioni di domenica, Sharaa è messo alla prova dalle sacche di resistenza sparse per il paese. Gli scontri ad Aleppo, ennesimo campanello di allarme
Poche ore dopo che i seggi erano stati chiusi, ad Aleppo si è cominciato a sparare. Le Forze democratiche siriane (Sdf) a guida curda si sono scontrate con quelle governative, ricordando alla Siria intera che il cammino democratico del paese è ancora tutto da scrivere. I combattimenti per le strade sono andati avanti nella notte, lasciando a terra un militare e un civile. Danni limitati da un cessate il fuoco raggiunto per sedare sul nascere l’episodio più grave avvenuto nella seconda città della Siria dalla liberazione a oggi. In tutta fretta, all’alba, un elicottero degli americani alleati dei curdi ha trasportato a Damasco il leader dell’Sdf, Mazloum Abdi, accompagnato dall’uomo di Donald Trump in Siria, Tom Barrack, che ha immediatamente organizzato un incontro con il presidente Ahmed al Sharaa e col ministro della Difesa, Murhaf Abu Qasra. Ci si è accordati affinché non ricapiti più, ma gli scricchiolii nell’intesa fra i curdi e Damasco, almeno per il momento, tendono a diventare crepe nella tenuta del fronte nord-orientale. La Siria che è alle prese con il conteggio delle schede elettorali si ritrova ancora una volta sull’orlo dell’anarchia. E basta guardarsi attorno per notare che in quasi tutte le province del paese le priorità sono altre rispetto alla pur giusta indignazione per il calo della rappresentazione femminile nella nuova Assemblea nazionale. Alcune aree geografiche semplicemente mancano all’appello nel nuovo assetto che Sharaa cerca di dare al paese. Ecco tutti i buchi neri della nuova Siria.
Raqqa, Hasakah e Deir Ezzor
Le province del nord e dell’est sono rimaste fuori dalla tornata elettorale per una decisione unilaterale presa da Sharaa lo scorso agosto. Messe insieme equivalgono a un terzo del paese che domenica non ha preso parte alle elezioni, gettando ombre su qualsiasi pretesa di rappresentatività democratica. E’ qui che covano le divisioni fra i curdi e il governo centrale, solo apparentemente sanate dall’accordo concluso tra Sharaa e Abdi lo scorso marzo. La parola d’ordine qui come negli altri quadranti del paese è autonomia. E’ ciò che chiedono i curdi, sia a livello amministrativo sia militare. La zona sotto il loro controllo è molto delicata: il confine a nord con la Turchia, che intanto ha chiesto a Ocalan di intercedere affinché l’Sdf deponga le armi, la ripresa degli attentati dell’Isis che qualcuno dava per morto, il confine poroso con l’Iraq a est, le forze governative a ovest. Sharaa dice che “la Siria è una”, ma finora ha cercato di imporre le proprie ragioni piuttosto che cercare un compromesso con un chiaro obiettivo politico, come dimostrano gli scontri di lunedì ad Aleppo.
Homs, Latakia e Hama
La costa è stata la miccia che ha fatto deflagrare la rabbia sunnita contro le minoranze appena è caduto il regime. La brutalità con cui le milizie di Sharaa hanno schiacciato i lealisti di Assad arroccati a ovest di Homs è stata certificata da due commissioni di inchiesta, una dell’Onu e un’altra di Damasco. Si è parlato di “responsabilità individuali”, sebbene le testimonianze degli stessi miliziani di Damasco abbiano detto a Human Rights Watch di “ordini diretti ricevuti dal ministero della Difesa”. Mentre si festeggia l’elezione al Parlamento di un alauita, la confessione religiosa che ha retto le sorti di un paese intero per mezzo secolo, villaggi e comunità sono stati spopolati dalle milizie di Damasco, lasciate libere di uccidere e umiliare chiunque rispondesse “sì” alla domanda “sei alauita?”. E’ una tecnica ereditata da Assad, che svuotava intere regioni da comunità ostili costringendole a traslocare altrove, plasmando con cinismo e violenza il tessuto sociale della Siria secondo logiche autoritarie. Poi ci sono i cristiani, che sono un milione e mezzo in tutto il paese, gran parte dei quali concentrati tra Hama e Homs, ma che alle elezioni hanno portato in Parlamento appena due rappresentanti su 119.
Damasco
Se Aleppo e Idlib sono state la culla dell’avanzata contro gli assadisti, la capitale Damasco è l’epicentro del risveglio siriano, simbolo della rivalsa di un popolo contro un regime brutale. Eppure, anche qui esistono enormi buchi neri, zone diventate luogo di abusi che fanno temere vecchie ombre. Lontano da Piazza degli Omayyadi ci sono quartieri a maggioranza alauita come Mezzeh 86 o Sumariya diventati teatro di attentati ed espropri su base settaria. Il peccato originale di queste zone alla periferia di Damasco è di essere state requisite negli anni 70 dal regime, che le ha plasmate per metterle a disposizione del ministero della Difesa. Ai membri della famigerata Quarta divisione assadista, una delle più temute, fu concessa un’abitazione per sé e per le proprie famiglie in questi quartieri, al fianco di basi aeree e caserme diventate luogo di detenzione e torture indicibili per i prigionieri politici fatti sparire dai mukhabarat, i servizi segreti. Quando Assad è caduto, molti suoi ex militari si sono rintanati tra queste case e per i militari di Sharaa è difficile riprendere il controllo di queste sacche di resistenza. Motivo per cui Sumariya si sta svuotando dagli alauiti, costretti con le intimidazioni a lasciare il quartiere per paura di altre violenze da parte dei sunniti.
Quneitra, Daraa, Suwayda
I media locali dicono che a Daraa, affacciata sulle alture del Golan, sono state uccise oltre 200 persone da gennaio a giugno di quest’anno e si denuncia l’incapacità delle Forze di Sharaa di tenere sotto controllo il territorio. Le forze destabilizzanti sono diverse: scontri fra famiglie e tribù rivali e soprattutto le cellule dormienti dello Stato islamico, anche qui in graduale ripresa. Il governo ha inviato la 40esima divisione, che sta tentando di riportare il territorio sotto il proprio controllo nella valle del Yarmouk, ma con enormi difficoltà. E la situazione è ancora più complessa a Quneitra, dove Israele ha continuato nelle sue incursioni di terra fino a un paio di settimane fa. Tsahal ha preso il controllo di fasce di territorio siriano lungo la linea del cessate il fuoco tracciata nel 1974 e che separa Siria e Israele. Il dialogo tra i due paesi per raggiungere un accordo – che sarebbe di portata storica – va avanti sotto la mediazione degli americani, ma le conseguenze dell’avanzata degli israeliani nel sud della Siria sono state enormi per i civili. Ma è a Suwayda che Sharaa si ritrova alle prese con la crisi peggiore, quella in grado di trascinare dietro di sé l’intero paese. Come una moderna città-stato, è al momento sotto il controllo delle milizie druse che hanno deciso di non riconoscere l’autorità di Damasco. I combattimenti settari contro i beduini sunniti sostenuti dal governo e iniziati a luglio si sono conclusi con un cessate il fuoco fragile e la città è controllata dagli uomini di Hikmat al Hijri, il leader spirituale druso che flirta con Israele mentre invia anatemi contro Damasco chiedendo autonomia.