
Arriva a Roma Wang Yi e l'ambiguità europea su Pechino riaffiora tutta insieme
Tra derisking e diplomazia del silenzio, l’arrivo del ministro degli Esteri cinese riporta Roma e l’Europa di fronte a una contraddizione piuttosto frequente, quella di contenere Pechino senza inimicarsi la leadership del Partito. Ma ha davvero senso parlare di autonomia strategica continuando a dipendere da Xi Jinping?
Quando il ministro degli Esteri cinese Wang Yi arriverà a Roma, oggi, inizierà il suo quarto viaggio in Europa sin dall’inizio dell’anno, che lo porterà per un paio di giorni in Italia e poi in Svizzera. Domani, insieme con il suo omologo Antonio Tajani, Wang presiederà a Villa Madama la dodicesima riunione del Comitato intergovernativo Italia-Cina, e il giorno dopo, giovedì mattina, il ministro sarà accolto al Quirinale dal capo dello stato Sergio Mattarella. Altri dettagli della sua missione non sono noti, quel che è certo però è che il capo della diplomazia del leader cinese Xi Jinping ha il ruolo fondamentale di convincere gli europei, a uno a uno, che la Cina è un alleato responsabile, e non il facilitatore del caos commerciale e della guerra di Putin contro Ucraina ed Europa.
E’ un periodo di intenso attivismo diplomatico per Pechino. Wang – che, come specificato dal Quirinale, ricopre il ruolo di direttore della commissione per gli Affari esteri del Comitato centrale del Partito comunista cinese – a metà settembre aveva visitato Austria, Slovenia e Polonia. Ora è la volta della Svizzera, paese che in passato ha accolto ingenti investimenti e asset cinesi, ma che negli ultimi anni ha intrapreso più volte la via del derisking, soprattutto dopo le due crisi della pandemia e dell’invasione russa su larga scala dell’Ucraina.
Il fulcro del lavorio diplomatico del ministero degli Esteri cinese resta però l’Italia, un tempo considerata il principale canale di Pechino all’interno dell’Unione europea. Negli ultimi sei anni, tuttavia – dalla firma del memorandum sulla Via della seta in poi – è cambiata l’Italia ed è cambiato il mondo. Chi non sembra cambiare mai è invece Wang Yi, oggetto di continue speculazioni: nel 2023 era stato sostituito da Qin Gang, poi scomparso nel giro di pochi mesi senza alcuna spiegazione, mentre Wang tornava al suo posto come se nulla fosse accaduto.
Destino simile per Liu Jianchao, capo del dipartimento per le Relazioni internazionali del Partito comunista cinese e spesso indicato come possibile erede di Wang: anche lui, lo scorso luglio, è stato improvvisamente allontanato dagli incarichi pubblici.
Pechino ha i suoi sostenitori nel governo, ma non sono molti. Anche dopo la visita di stato di un anno fa in Cina, con la firma del partenariato strategico che di fatto ricalcava alcuni temi fondamentali della Via della seta, il governo Meloni ha scelto la strategia dell’ambiguità con Pechino, lasciando aperte delle porte e chiudendone altre evitando i proclami e le prese di posizione per cercare di non urtare la sensibilità cinese. In un’intervista all’agenzia di stampa statale Xinhua il 19 settembre scorso, il vicepremier Matteo Salvini “ha espresso fiducia nel fatto che i due paesi godano di ampie prospettive di cooperazione nei settori automobilistico, delle strade intelligenti e in altri ambiti legati ai trasporti”. La scorsa settimana Palazzo Chigi ha reso noto di aver archiviato il procedimento contro Sinochem nel caso Pirelli: i soci cinesi erano stati accusati di aver violato le regole del golden power. Ma in quell’occasione, pur lasciando aperta la porta a un negoziato diretto con Pechino, Meloni aveva mandato un messaggio molto chiaro sull’adeguamento a standard necessari per continuare a operare nei mercati di riferimento. Durante il Comitato intergovernativo Italia-Cina di domani si parlerà soprattutto di questo, di derisking applicato alle realtà italiane dove sarà necessario mettere dei paletti sulle partecipazioni cinesi.
Ma le difficoltà strategiche nei rapporti con Pechino riguardano soprattutto la politica internazionale, e il sostanziale impegno cinese alla continuazione della guerra di Putin contro Ucraina ed Europa – Kyiv ha detto di avere le prove che la Cina abbia fornito alla Russia dati satellitari utilizzati per sferrare attacchi missilistici contro il paese, oltre alla componentistica tecnologica, ai droni, al sostegno economico. Già a febbraio, la capa della diplomazia europea Kaja Kallas definiva la Cina “il fattore chiave nell’aggressione militare della Russia contro l’Ucraina”. Ma la forza economica di Pechino è ancora tale da scoraggiare qualsiasi reale contrapposizione, per esempio su Taiwan, l’isola de facto indipendente che però Pechino rivendica come parte del proprio territorio anche se il Partito comunista cinese non l’ha mai governata. Basti pensare che la notizia della visita a Roma del ministro degli Esteri di Taiwan Lin Chia-lung, il 18 settembre scorso, è stata tenuta segretissima anche dai pochi rappresentanti istituzionali che l’hanno incontrato. E domani sera, sempre nella capitale, è previsto il ricevimento della rappresentanza taiwanese in Italia in occasione della festa nazionale della Repubblica di Cina in un famoso hotel romano dove spesso soggiornano anche le delegazioni cinesi. La coincidenza dei due eventi – la delegazione proveniente da Pechino che accompagna Wang Yi e la festa di Taiwan – ha messo in allarme molti diplomatici e diversi parlamentari italiani, spaventati dal farsi vedere prima con Wang e poi con i taiwanesi come fosse una colpa.


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