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speciale 7 ottobre

“È iniziata la caccia agli ebrei”. Parla lo storico francese Georges Bensoussan

Giulio Meotti

Dopo il 7 ottobre l'antisemitismo in Europa ha raggiunto livelli drammatici. "Circa 100 mila ebrei di Francia hanno lasciato il paese. L'esodo continua. Si avvierà un processo di invisibilizzazione: non portare più la kippah per strada, non mostrare segni di ebraismo" 

Dopo la liberazione dal lager di Theresienstadt, Leo Baeck scrisse: “Un’epoca nella storia è finita per noi ebrei”. Sarebbe stato un successo dimostrare che questo grande rabbino e filosofo si sbagliava. Ma la nostra cronaca lascia poco spazio all’ottimismo. Dal 7 ottobre 2023, l’Europa ha sviluppato una sfacciata disinvoltura psicologica nei confronti della fuga, dell’aggressione e dell’uccisione dei suoi ebrei. Due morti fuori dalla sinagoga di Manchester. Due giovani turisti ebrei americani colpiti in centro a Firenze al grido di “Free Palestine”. Tre ebrei attaccati a una veglia per gli ostaggi israeliani a Francoforte. Due turisti israeliani aggrediti in un parco in Olanda. “Ebrei di merda bruciate tutti” sui negozi del ghetto di Roma. A Essen, in Germania, attacco col coltello fuori dalla sinagoga. Una pizzeria a Fürth che vieta l’ingresso agli israeliani. Auto di proprietà di ebrei deturpate nell’Alta Savoia francese. Ad Atene un ebreo aggredito da tre palestinesi. A Venezia, una coppia di turisti ebrei aggredita da dieci nordafricani al grido di “Free Palestine”. A Nizza manifestanti pro Gaza tentano di entrare in sinagoga. Ebrei inglesi cacciati da un ristorante in Grecia. Adolescenti ebrei aggrediti per strada a Lione. Un medico in Belgio che scrive “ebreo” sulla cartella clinica di un bambino. Poster che dicono “il sionismo è veleno” distribuiti in un ospedale di Londra. Un ufficio della El Al vandalizzato a Parigi. Minaccia di attentati a eventi ebraici a Oslo. Violinisti ebrei cacciati da un ristorante di Vienna. A Flensburg, in Germania, un negozio che vieta l’ingresso agli ebrei. 


E questo per restare alla cronaca dell’ultimo mese. “Stiamo perdendo la battaglia”, ha affermato da Vienna Ariel Muzicant, presidente del Congresso ebraico europeo. “Tra qualche anno, il 50 per cento delle comunità potrebbe non esistere più”. Intanto escono libri che evocano “La fine degli ebrei di Francia”, il titolo di un libro-inchiesta di Dov Maïmon e Didier Long. “Crediamo che gli ebrei di Francia, a un certo punto, dovranno andarsene. E chiediamo loro di prepararsi”. Se non si interviene, non ci saranno più ebrei in Francia entro il 2050. Intanto le comunità ebraiche diventano invisibili. Il Nieuw Israelietisch Weekblad di Amsterdam, fondato 160 anni fa e seconda pubblicazione ebraica più antica al mondo ancora in corso, ha iniziato a nascondere le sue copertine per proteggere gli abbonati. Gli ebrei d’Europa si tolgono la kippà (la comunità ebraica di Venezia ha appena suggerito ai suoi membri di non indossarla fuori dal territorio del ghetto). Molti rimuovono le mezuzah dalle porte di casa. Si lascia il ciondolo ebraico nel comodino. Famiglie con cognomi ebraici comuni come Cohen o Levy li stanno rimuovendo dalle cassette della posta. Il quotidiano britannico Times venerdì scorso in prima pagina aveva il seguente titolo: “Gli ebrei sono invitati a tenere le porte chiuse e a non riunirsi in gruppi”.


“Per comprendere la situazione attuale degli ebrei d’Europa è necessario considerare la convergenza di due fenomeni” dice al Foglio lo studioso francese Georges Bensoussan, uno dei maggiori storici della Shoah e di Israele (sue  le 1.400 pagine di “Storia del sionismo”  per Einaudi). “Il primo fenomeno è quello di un’immigrazione di origine musulmana che, negli ultimi cinquant’anni, ha trasformato in profondità il volto demografico dell’Europa, dando pieno senso alla formula di Auguste Comte: ‘la demografia è il destino’. Le aggressioni antisemite sono state commesse in maggioranza da persone di ascendenza musulmana. In Francia, i sedici ebrei assassinati dal 2003 «perché ebrei» lo furono da mani francesi e musulmane (includo qui le quattro vittime del Museo ebraico di Bruxelles uccise da un francese di origine algerina). L’ultima aggressione, quella alla sinagoga di Manchester il 2 ottobre 2025, giorno di Kippur, è stata commessa da un britannico di origine siriana”.


Tuttavia, questo antisemitismo d’importazione non avrebbe trovato un’eco così forte se non ci fosse stato un terreno fertile, caratterizzato dall’approfondirsi della crisi democratica in Europa, prosegue Bensoussan al Foglio. “La passione egualitaria che vi si dispiega è alimentata da una sovrapproduzione di laureati la cui situazione non corrisponde al loro livello di studi e ai titoli ottenuti. E’ un vivaio di risentimento, che alimenta una passione per il livellamento e apre la via a tentazioni autoritarie, persino totalitarie. Questa passione è il retaggio di una sinistra che, nel XIX secolo, fu il principale vettore del passaggio dall’antigiudaismo cristiano all’antisemitismo moderno (il termine risale al 1879). Prima dell’affare Dreyfus, molti dei principali fautori dell’antigiudaismo francese provenivano dalla sinistra: Fourier, Toussenel, Proudhon, Tridon. Oggi ritroviamo questo antigiudaismo in diversi ambienti della sinistra, ma questo antisemitismo di sinistra è stato messo da parte dall’affare Dreyfus e dalla resistenza a Vichy e al nazismo. Ciò ha rafforzato in molti militanti di sinistra la convinzione che l’antisemitismo fosse prerogativa della destra. Si dimentica che il personale di Vichy comprendeva numerosi ex socialisti, alcuni dei quali, da giovani, erano stati ardenti dreyfusardi. La divisione destra-sinistra alimenta dunque l’idea, errata, che l’antisemitismo sia specifico della destra. Ma questo errore è compreso male da una parte degli ebrei stessi, spesso più disorientati degli altri. Penso in particolare a numerosi ebrei ashkenaziti che, salvo rare eccezioni, ignorano quale sia stata la condizione degli ebrei nei paesi arabo-musulmani. Faticano a concepire questa tradizione importata dall’immigrazione, tanto più che considerano l’immigrazione come il mondo degli oppressi e degli umiliati, ciò che un tempo furono i loro nonni venuti dall’Europa orientale. ‘Vittime’ anch’essi dell’Europa. Il mondo arabo-musulmano resta così una zona cieca nella loro percezione, tanto più cieca in quanto molti di questi ebrei sono da sempre di sinistra e faticano ad accettare l’idea di un antisemitismo non solo a sinistra, ma di sinistra”. 


L’islam radicale e il 7 ottobre hanno accelerato l’odio europeo. “Aggiungerei, a quanto ho già detto, che un’idea a lungo radicata è andata in frantumi negli ultimi anni: quella secondo cui l’integrazione dei musulmani in Europa implicava sempre e comunque l’accettazione delle norme della società occidentale, in Francia in particolare della laicità. Ora, non è affatto ciò che accade. Certo, una parte dell’immigrazione si integra e si è separata dall’islam integralista; ma non bisogna dimenticare che l’islamismo rimane il figlio naturale dell’islam, traendo ispirazione dai suoi testi fondatori, in particolare dagli hadith e dalla Sira (il racconto della vita di Maometto). L’integrazione non ha impedito una reislamizzazione delle comunità, favorita dall’effetto del numero. Quando l’immigrazione è ridotta, l’integrazione è più facile; quando è massiccia, finisce – alimentata in gran parte dalla povertà – per costituire quartieri separati che sfociano in un separatismo etnico e sociale, terreno ideale per i predicatori islamisti che cercano di ricondurre questi musulmani di nascita (tra cui alcuni, e soprattutto alcune, cercano di emanciparsi) verso quella che chiamano la ‘retta via’ dell’islam. Essi fanno leva sul bisogno d’identità e sulla pressione sociale del gruppo, con tutto ciò che questo comporta di violenza simbolica, e persino fisica. L’immigrazione incontrollata, che da circa cinquant’anni rimodella il volto dell’Europa occidentale, è il risultato della politica di un capitalismo finanziario alla ricerca sia di un minor costo della manodopera, sia di classi popolari autoctone ‘disciplinate’ dalla paura della disoccupazione e dalla pressione al ribasso dei salari.

La situazione attuale è, in parte, responsabilità di una grande borghesia che non subisce in prima persona le conseguenze dell’immigrazione, poiché evita qualsiasi forma di mescolanza e di attrito identitario, pur facendo, tramite i suoi portavoce, l’apologia del meticciato. Ma per gli altri. A loro seguito, un certo numero di ‘idioti utili’ si sono messi a difendere questa immigrazione di massa senza capire che essa era (benché involontariamente) l’alleata di quella borghesia senza frontiere. Per la maggior parte della popolazione, tuttavia, questa immigrazione incontrollata è sinonimo della fine del proprio stile di vita e di una minaccia per la propria identità. Il quasi suicidio della nazione francese, per esempio, apre la strada a una sequela di viltà, come si è visto di recente quando un’associazione di insegnanti ha chiesto di ribattezzare le vacanze di Ognissanti e di Natale in ‘vacanze d’autunno’ e ‘vacanze di fine anno’. Essa dichiarava di voler ‘proteggere la laicità'. In realtà, per non ‘urtare’ le importanti comunità musulmane con cui convive. Coltivare fino a questo punto la negazione di sé significa comunicare all’immigrazione di massa che ‘il posto è libero’. Come potrebbe funzionare l’integrazione in un simile contesto? E chi, in tali condizioni, vorrebbe integrarsi in un corpo sociale in disintegrazione? Per quanto riguarda il 7 ottobre, tutte le ondate di antisemitismo sono state seguite non da un appello alla ragione, ma da una violenza ancora più grande. E’ ciò che si vide, ad esempio, durante le ondate di pogrom perpetrate in Russia tra il 1881 e il 1920. Lungi dall’essere placati dalla violenza scatenata, gli assassini erano eccitati dalla vista delle loro vittime insanguinate, che rappresentavano per loro un incitamento a ricominciare. Nella psiche degli assassini del 7 ottobre, il minimo segno di fragilità è stato un incentivo a colpire più forte ancora. Quel giorno, gli ebrei – attraverso il terrore provato – e gli israeliani – attraverso la falla nella loro difesa – hanno dato un’immagine di debolezza che illumina ciò che potrebbe accadere domani se lo stato d’Israele abbassasse la guardia: il segnale di un massacro generalizzato. O persino di un genocidio, ma questa volta reale”. 


Dopo Manchester si riparla di uno scenario in cui gli ebrei europei se ne vanno. “Da venticinque anni, da quando sono cominciate in Francia le violenze contro gli ebrei, questi ultimi ‘hanno votato con i piedi’, come diceva Lenin nel 1917 a proposito dei soldati dell’esercito dello zar” ci dice Bensoussan. “Circa 100 mila ebrei di Francia (cioè il venti per cento della comunità) hanno lasciato il paese, di cui circa il 70 per cento si è trasferito in Israele. L’esodo continua, non necessariamente verso Israele, ma anche verso Stati Uniti, Australia, Canada, Portogallo e altri paesi. Particolarmente preoccupante è la situazione degli ebrei più poveri che vivono in quartieri islamizzati, spesso infestati dal narcotraffico, e che non hanno né i mezzi per trasferirsi, né il desiderio o la possibilità di partire per Israele, dove la rete di protezione sociale è debole rispetto a quella francese. Si tratta di 100 mila - 150 mila persone in condizioni di precarietà, delle quali le istituzioni ebraiche dovranno occuparsi domani come priorità, in assenza di uno stato che si indebolisce di giorno in giorno. La maggior parte degli ebrei finirà per ritirarsi verso zone più sicure, una sorta di aliyah interna che li vedrà raggrupparsi per vivere in una relativa sicurezza. Questa maggioranza diventerà più discreta, intraprendendo un processo di invisibilizzazione: non portare più la kippah per strada, non mostrare segni evidenti di ebraismo, togliere la mezuzah dallo stipite della porta. Sebbene non si sia ancora arrivati al cambio di nome, sono già molti quelli che forniscono un nome fittizio per ordinare una pizza o chiamare un Uber, perché il loro vero nome ha una ‘consonanza ebraica’. A Parigi esiste ormai un numero di telefono di ‘taxi sicuri’ per i turisti israeliani che arrivano in Francia. Questo mostra fino a che punto di degrado siamo giunti. L’ironia della faccenda è che gli ebrei progressisti che, per cinquant’anni, avevano sostenuto l’immigrazione di massa, non hanno fatto altro che scavare la propria tomba”.

Ma in questo Jüdenrein, sarà l’Europa a compiere una sorta di suicidio spirituale. “Ciò che l’Europa perderà è ciò che ha perso la Spagna nel XVI secolo e ciò che ha perso la Germania dopo il 1945. La partenza degli ebrei scaverà un vuoto, sia perché il loro contributo alla cultura, alla ricerca e alla medicina è sproporzionato rispetto al loro numero nella popolazione, sia perché la loro posizione singolare dà spesso uno sguardo diverso, capace di alimentare la riflessione. La Spagna del XVI secolo bandì gli ebrei: li espulse o li costrinse a convertirsi. In un medesimo movimento di chiusura, la Spagna respinse l’ebraismo, il protestantesimo e il capitalismo, alimentando un’apatia che spiega come, fino almeno alla metà del XX secolo, la Spagna apparisse come una nazione arretrata. La Germania, ovviamente, non offre la stessa situazione. Ma che cosa resta in comune tra la vita intellettuale e culturale della Germania prima del 1930 e il suo attuale livello di influenza? Quanto al suicidio spirituale, esso si manifesta meno con la partenza degli ebrei che con il via libera dato a un’immigrazione di massa che, di fronte all’islam in particolare, ha generato fenomeni di accomodamento, di rinuncia e persino di sottomissione. Per evitare un confronto che teme, una parte dell’Europa preferisce abbassare la testa. Per essa, il suicidio è già compiuto”.

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  • Giulio Meotti
  • Giulio Meotti è giornalista de «Il Foglio» dal 2003. È autore di numerosi libri, fra cui Non smetteremo di danzare. Le storie mai raccontate dei martiri di Israele (Premio Capalbio); Hanno ucciso Charlie Hebdo; La fine dell’Europa (Premio Capri); Israele. L’ultimo Stato europeo; Il suicidio della cultura occidentale; La tomba di Dio; Notre Dame brucia; L’Ultimo Papa d’Occidente? e L’Europa senza ebrei.