
Le manifestazioni
Spari sui manifestanti e caos. Ma il Pakistan ottiene lo stesso applausi dall'Onu e da Trump
Mentre i proiettili piovono su Muzaffarabad e le strade del Kashmir pachistano diventano teatri di guerra interna, Islamabad continua a vendersi all’estero come difensore dei diritti umani ricevendo elogi dalla Casa Bianca
Dieci morti e più di un centinaio di feriti, e il numero è destinato a salire nelle prossime ore. E’ il bilancio della nuova ondata di repressione in corso nel Kashmir occupato dal Pakistan (PoK), dove le forze di sicurezza hanno aperto il fuoco contro manifestanti disarmati a Muzaffarabad, Dhirkot, Bagh e Dadyal. Le strade della capitale e di altre città si sono trasformate in teatri di guerra interna, con proiettili, gas lacrimogeni e artiglieria pesante. Adoperati contro cittadini pachistani, che sono scesi in piazza a migliaia negli ultimi giorni per chiedere diritti basilari: elettricità a prezzi accessibili, la cancellazione delle tasse vessatorie, il rilascio dei detenuti politici. E non si tratta di un episodio isolato.
Già l’anno scorso migliaia di kashmiri erano scesi in piazza per la stessa ragione. E anche allora la risposta del governo era stata la stessa: manganelli, proiettili e blackout di internet e delle linee telefoniche. Anche allora c'erano stati morti e feriti e anche allora non c'era traccia delle proteste nella stampa pachistana, e di rado se ne legge su quella internazionale. Il Kashmir pachistano, il cosiddetto Azad Kashmir (azad significa libero) è per definizione la terra della libertà. Una terra in cui i cittadini sono liberi di morire per mano dell'esercito o dei vari gruppi jihadi protetti da Islamabad. Gruppi che a Muzaffarabad e dintorni non hanno soltanto i loro campi di addestramento, ma che sono parte integrante del tessuto sociale e politico della regione: le liste elettorali e della pubblica amministrazione sono chiare.
La rivolta di oggi, come quella dell'anno scorso, non è una sorta di “cospirazione straniera”, come senza dubbio affermerà Islamabad. E’ una rivolta nata da decenni di abbandono e di sfruttamento. Gli abitanti del PoK accusano da tempo l'establishment pachistano di saccheggiare le loro risorse senza dare nulla in cambio. Le proteste attuali sono guidate dal Joint Awami Action Committee, una coalizione popolare che riflette la rabbia repressa dei cittadini comuni. Le loro richieste non sono rivoluzionarie, ma dolorosamente modeste e sempre uguali. Così come è sempre uguale la risposta dello stato: proiettili, manganelli e sparizione forzate. Come succede in Balochistan, come succede in Kyber-Pakhtunkwa. Come succede in tutto il Pakistan ogni volta che i cittadini scendono in piazza per protestare contro il governo. Quello stesso governo che soltanto pochi giorni fa denunciava all’Assemblea generale delle Nazioni Unite presunte violazioni dei diritti umani nel Kashmir amministrato dall’India.
Islamabad cerca di capitalizzare da anni sulla retorica della difesa dei kashmiri (tralasciando il fatto che, documenti alla mano, il vero occupante del Kashmir è lo stesso Pakistan, non l'India) mentre nei fatti trasforma il cosiddetto “Kashmir libero” in un esempio di controllo autoritario. Eppure, nelle stesse ore in cui i kashmiri venivano ammazzati dal loro stesso esercito e i ribelli Baloch facevano fuori in un attentato una decina di soldati pakistani, il presidente americano Donald Trump elogiava di nuovo pubblicamente il generale Asim Munir, capo dell'esercito pachistano, dipingendolo come garante di stabilità regionale. Dimostrando ancora una volta la validità della cosiddetta “ricetta Musharraf': doppio gioco e menzogne pagano sempre. Con le menzogne, l’establishment militare tiene in piedi un sistema che si autoalimenta: presentarsi all’estero come baluardo contro il caos e, nello stesso tempo, coltivare quel caos dentro i propri confini per giustificare la propria esistenza. E’ la stessa logica che permette oggi a Islamabad di presentarsi all’Onu come paladino dei diritti dei kashmiri mentre seppellisce quei diritti sotto i proiettili di Muzaffarabad.