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Mail interne

Non si parli di Hamas. I ritardi di Amnesty International nel rapporto sul 7 ottobre  

Giulio Meotti

Free Press di Bari Weiss ha ottenuto delle mail interne in cui l'organizzazione scrive di voler ritardare la pubblicazione dello studio delle atrocità contro Israele: "Il report potrebbe essere usato per distogliere l’attenzione dalla crisi attuale a Gaza"

Non si parli delle atrocità di Hamas, nelle aule universitarie come nei palchi del PD. E neanche Amnesty International vuole parlarne. Con l’avvicinarsi del secondo anniversario del massacro di Hamas del 7 ottobre 2023, Amnesty, l’organizzazione per i diritti umani vincitrice del Premio Nobel, non ha ancora pubblicato il rapporto a lungo ritardato sulle atrocità. In lavorazione da oltre un anno, il rapporto di Amnesty è previsto per la pubblicazione “nelle prossime settimane”, afferma un portavoce. Ma affronta resistenze interne, secondo email interne ottenute dalla Free Press di Bari Weiss.

 

“La nostra preoccupazione riguarda il tempismo e l’impatto”, ha scritto via email l’8 agosto Usman Hamid, direttore di sezione per Amnesty in Indonesia, ai massimi dirigenti dell’organizzazione. “La situazione a Gaza è al culmine di una crisi umanitaria, la carestia si sta dispiegando e il gabinetto di sicurezza israeliano ha appena approvato piani per una piena occupazione. In questo clima, c’è un rischio reale che il rapporto possa essere usato per distogliere l’attenzione dalla crisi attuale o giustificare un genocidio in corso”. Seydi Gassama, direttore di sezione per il Senegal, ha fatto eco lo stesso giorno. “La situazione a Gaza sta peggiorando” ha scritto in un’email. “Questa decisione peggiorerà la crisi umanitaria e la perdita di vite umane. Esortiamo il segretariato internazionale a riconsiderare il tempismo della pubblicazione del rapporto poiché potrebbe essere usato da Israele per giustificare le sue azioni”. 

 

All’inizio di quest’anno, l’organizzazione ha sospeso la sua sezione israeliana dopo che alcuni membri hanno dissentito pubblicamente dall’accusa di genocidio. “Si può vedere il pregiudizio quando l’organizzazione concede spazio solo alla sofferenza di un gruppo di persone in un conflitto”, afferma un ex dipendente di Amnesty che ha richiesto l’anonimato. Infatti, i direttori di Indonesia e Senegal non sono affatto soli. Più o meno nello stesso periodo in cui hanno inviato le loro email, membri dello staff di Amnesty stavano facendo circolare una lettera, anch’essa indirizzata alla leadership di Amnesty, protestando che Israele avrebbe tratto beneficio se il gruppo avesse denunciato Hamas. “Le violazioni perpetrate il 7 ottobre 2023 sono state usate dal governo israeliano, dai suoi alleati e da gran parte dei media occidentali per fabbricare consenso per il genocidio israeliano che è seguito immediatamente dopo questo attacco” afferma la lettera. “La pubblicazione di questo rapporto in questo momento contribuirebbe in modo significativo a radicare questa posizione in un momento in cui l’opinione pubblica mondiale è schiacciante contro il genocidio e la complicità di altri stati in esso”.  La segretaria generale di Amnesty, Agnes Callamard, ha risposto alle lettere dei direttori di Senegal e Indonesia.

 

Invece di rimproverarli per aver politicizzato la questione, Callamard ha espresso comprensione. “Ci siamo incontrati e continueremo a incontrarci per rivedere tutti i rischi e cercare mitigazioni e risposte appropriate,” ha scritto. “Abbiamo alcune idee su come andare avanti ma dobbiamo fare un’ulteriore analisi dei rischi”. Le email da Indonesia e Senegal sono state inviate a ogni direttore di sezione di Amnesty nel mondo così come a tre funzionari di Amnesty International USA. Eppure solo una persona nella catena di comando, Sacha Deshmukh, direttore di Amnesty per il Regno Unito, ha parlato in difesa di quello che dovrebbe essere il principio guida dell’organizzazione: “Amnesty non dovrebbe mai sopprimere o ritardare la pubblicazione”. 

 

Per Dan Balson, lavorare ad Amnesty era un sogno. Lui e i suoi genitori sono usciti dall’Unione Sovietica nel 1988 parte di un’ondata di emigrati ebrei. Balson è diventato il direttore dell’advocacy di Amnesty per l’Europa e l’Asia centrale, coprendo un territorio dalla Russia all’Afghanistan all’Ucraina. Ma quando ha visitato la sede globale di Amnesty a Londra ha percepito un’antipatia verso Israele e gli ebrei. La mattina del 7 ottobre, Balson aprì X e vide che la sua collega Rasha Abdul Rahim, direttrice dei servizi tecnici per Amnesty, scrisse: “Essere veramente antirazzisti e decoloniali significa riconoscere che la resistenza contro l’oppressione a volte è brutta”. E anche quando mutila, decapita, stupra e arde vive le persone, merita un po’ di autocensura.

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  • Giulio Meotti
  • Giulio Meotti è giornalista de «Il Foglio» dal 2003. È autore di numerosi libri, fra cui Non smetteremo di danzare. Le storie mai raccontate dei martiri di Israele (Premio Capalbio); Hanno ucciso Charlie Hebdo; La fine dell’Europa (Premio Capri); Israele. L’ultimo Stato europeo; Il suicidio della cultura occidentale; La tomba di Dio; Notre Dame brucia; L’Ultimo Papa d’Occidente? e L’Europa senza ebrei.