
la mediazione
I punti e gli attori essenziali per la riuscita del piano per Gaza
Hamas prende tempo, Trump concede quattro giorni per dare una risposta. Il nuovo medio oriente ha una forma e i leader arabi vogliono realizzarla
Il piano annunciato lunedì da Donald Trump per mettere fine alla guerra a Gaza, permettere il ritorno degli ostaggi e determinare il disarmo dei terroristi di Hamas, ha il sostegno degli israeliani: circa il 70 per cento degli intervistati è favorevole. L’entusiasmo però in Israele è un sentimento imbevuto di malinconia e schiaffeggiato dal realismo, infatti soltanto il 12 per cento degli intervistati sostiene che il piano sia realizzabile. Si tratta di un sondaggio condotto in fretta, intervistando 847 israeliani e l’Agam Institute che lo ha realizzato ha precisato che il margine d’errore è del 4,2 per cento. Il piano per Gaza piace, gli israeliani vogliono che gli ostaggi tornino, che la guerra finisca e che Hamas non sia più il loro vicino di casa, vedono l’obiettivo come bellissimo, ma ancora lontano. A Gaza, i civili hanno festeggiato l’annuncio di Trump. I terroristi della Striscia ai quali spetta dare una risposta, stanno discutendo con i mediatori del Qatar e della Turchia. Israele ha già accettato ogni punto, anche quello in cui si dice che Gaza non sarà mai né controllata dagli israeliani né annessa, ma l’ultima parola, come sempre, spetta a Hamas, che detiene gli ostaggi, li usa come merce di scambio. La guerra a Gaza continua, i terroristi potrebbero fermarla in ogni istante, basta accettare il piano, ma prendono tempo, la risorsa che hanno usato come arma di guerra per trascinare il conflitto.
Il presidente Trump, mentre annunciava il piano con il premier israeliano Benjamin Netanyahu al suo fianco, non ha detto quanto tempo ha Hamas per dare una risposta. Oggi ha cercato di recuperare fissando un ultimatum: i terroristi hanno massimo quattro giorni per accettare il piano, “o pagheranno all’inferno”. Alcuni funzionari americani coinvolti nel negoziato hanno detto di attendere una risposta entro il fine settimana. Il piano di Trump è apprezzato da molti leader internazionali, ha raccolto il favore degli europei e soprattutto dei paesi arabi che saranno gli autori della nuova Gaza senza Hamas. Barack Ravid di Axios ha raccontato che Trump ha cambiato parti del piano dopo una lunga discussione che Netanyahu ha avuto con l’inviato speciale per il medio oriente Steve Witkoff e il genero del presidente Jared Kushner. Il presidente americano ha accettato di aggiungere delle modifiche proposte dal premier israeliano, senza avvisare i leader arabi. Alcuni funzionari di Arabia Saudita, Egitto, Giordania e Turchia erano furiosi per le modifiche, ma hanno comunque rilasciato una dichiarazione a sostegno del piano che continua a essere positivo per il futuro dei palestinesi a Gaza. Il progetto del presidente americano sembra credibile a molti, è la strada che finora ha portato al punto più vicino non soltanto a fermare la guerra, ma anche all’idea di una Striscia senza Hamas. Per gli israeliani però il piano non è altro che il punto di partenza, dopo gli annunci, inizia il lavoro: “Al di là delle frasi, dei titoli, quello che manca è un meccanismo”, dice Ofer Guterman dell’Istituto per gli Studi sulla Sicurezza nazionale (Inss). Guterman fa notare che i punti del piano sono dei desiderata, sono il modo in cui Trump, i leader europei, i leader arabi, Israele, parte dei gazawi vedono la Striscia nel futuro. Sono i passi da compiere, ma finora nessuno ha spiegato come compierli. “Anche la parte sugli aiuti umanitari manca di un punto importante, si dice che saranno le Nazioni Unite a occuparsene, ma non si fa riferimento alla necessità che l’Unrwa venga destituita. Deve essere tenuta fuori non soltanto per il suo rapporto con Hamas, ma anche per quello che rappresenta. Se si vuole compiere un passo deciso per un nuovo medio oriente, una struttura come l’Unrwa non può esserci”. Se i paesi arabi si sono lanciati nell’iniziativa è perché vedono un margine di riuscita: “Ci sono elementi di novità importanti. E’ la prima volta che assistiamo a un approccio multilaterale. Secondo il piano, non è più una questione tra Israele e Hamas, diventa una questione più ampia, con vari attori e da realizzarsi su più livelli”. I paesi arabi di fatto hanno concordato anche sul sostegno che gli Stati Uniti forniranno a Israele nel caso in cui i terroristi si rifiutino di liberare gli ostaggi.
Tre punti del piano mostrano che il lavoro contro Hamas deve iniziare anche se Hamas non accetta l’accordo. Il punto diciassette parla della creazione di una Forza internazionale di stabilizzazione che deve fornire sostegno alla polizia palestinese e dovrà collaborare con Israele per proteggere le aree di confine. Il punti diciotto e diciannove invece mostrano una via per far entrare queste forze multilaterali dentro la Striscia: anche se Hamas rifiuta, inizierà il processo di insediamento del Board of peace, il Consiglio della pace dell’ex premier britannico Tony Blair, supervisionato da Trump, sostenuto dagli arabi e dalle forze palestinesi, nelle aree controllate da Tsahal. In questo modo il conflitto non sarà più soltanto una questione tra Israele e Hamas.