L'editoriale dell'elefantino

La menzogna finale: a Israele negheranno anche la vittoria

Giuliano Ferrara

Ovvio che lo scoppio della pace a Gaza, se pace ci sarà,  dipenderebbe dalla formidabile pressione militare di Israele, che ha combattuto e ha sempre anche trattato. Ma la macchina mediatica del pregiudizio è già pronta all’ultima mistificazione

Il Rabbino capo di Roma, Riccardo Di Segni, è il volto stesso dell’equilibrio razionale, ha gli occhi e la parlata di un uomo estremamente saggio, dialoga con Gad Lerner, che funge da rappresentanza della nutrita pattuglia di ebrei che odiano il governo di Israele, dannano la guerra di Gaza, e in qualche caso (non lui) si spingono fino a usare la tremenda e mendace parola, “genocidio”, alla quale è appesa inebetita un’opinione pubblica mondiale travolta dalla realtà. Ha detto Di Segni a Paolo Conti, nel Corriere, che finché non sarà smantellata la macchina mediatica che produce l’infernale inversione della colpa, le vittime della Shoah e i destinatari della cancellazione dal fiume al mare viste come aguzzini di un nuovo genocidio, non si uscirà da questa orrenda situazione. Ha ragione, purtroppo. 

Anche Netanyahu, nel suo discorso molto ben argomentato all’Onu, ha considerato le scelte e le emozioni antisioniste che Israele avversa con orgoglio e fermezza come il prodotto del pregiudizio, del bias, che impedisce alla gente di vedere le cose come stanno e di conformarsi alla verità effettuale della cosa. Non esiste in concetto in natura e in storia un progetto genocida che consista nell’evacuare la popolazione civile e nel nutrirla con tonnellate di aiuti umanitarie. Se queste cose vengono cancellate dal rullo informativo della morte a Gaza, se la realtà è capovolta, dipende dalla medesima “macchina mediatica” menzionata dal Rabbino capo, e Dio solo sa se si tratta di due personalità, caratteri e funzioni, Netanyahu e Di Segni, diverse e perfino opposte.

 

La misura della macchina mediatica, della sua capacità inaudita di manipolazione, la dà la situazione estrema in cui la guerra può trasformarsi in pacificazione, tregua, liberazione di ostaggi e prigionieri, cessate il fuoco.  Cosa che è sotto gli occhi di tutti, ma nessuno vuole vederla. Se e quando questo dovesse avvenire, e tutto concorre a farci sperare che avvenga il più presto possibile, sebbene l’interlocutore terrorista sia una banda di fanatici incuranti anche della minima misura di razionalità che sopravvive in tutte le guerre, è già pronta e confezionata l’ultima mistificazione. Ovvio che lo scoppio della pace dipenderebbe dalla vittoria di Israele, dalla sua formidabile pressione militare, dalla sua ostinazione, dalla decisione di andare fino in fondo, dai progressi in due anni nella distruzione delle basi dell’asse del male che ha prodotto il 7 ottobre. Ovvio che dipenderebbe dal fatto che il residuo dell’esercito del terrore si trova accerchiato e reso impotente. Ovvio che Israele ha combattuto ma ha sempre anche trattato, tregue e liberazione di ostaggi e porte aperte per migliaia di palestinesi, perfino Sinwar autore dell’eccidio era stato scarcerato in passato per riavere il soldato Shalit. Ovvio che le decisioni politiche e militari e umanitarie, per quanto controverse, avevano il crisma dell’inevitabilità e sono state prese, però, con il senso di responsabilità politica tipico di un piano di difesa nazionale. Chiaro che non avrebbero avuto senso, dalla prima all’ultima di queste decisioni, se non ci fosse stata una tremenda pressione, con tutti i suoi costi, contro un nemico implacabilmente determinato a usare come agnello sacrificale il proprio popolo. E ora quel che conta è che venga ratificata una vittoria campale, la cui conseguenza sarebbe una pacificazione ottenuta in virtù di una solida autodifesa. Vedrete, nel caso questo esito felice sia raggiunto, con quale facilità la “macchina mediatica” del pregiudizio, quella cosa che Simone Lenzi ha definito il “narcisismo etico”, sarà capace di ribaltare le cose e di negare la vittoria a Israele, anche dopo la che l’abbia ottenuta. Israele inteso come comunità politica e popolo e stato, non solo come governo.
 

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  • Giuliano Ferrara Fondatore
  • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.