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la proposta

Merz vuole usare gli asset russi per un prestito di 140 miliardi a Kyiv

Luigi Daniele

Il cancelliere tedesco propone una cessione temporanea da parte dell'Ue per sostenere l’Ucraina, usando come garanzia i beni russi congelati. La mossa segna una svolta nella politica estera tedesca e punta a superare lo stallo dell’Ue con una “coalizione dei volenterosi”

“L’Europa oggi è messa alla prova più di quanto lo sia mai stata nella storia recente” e “per rompere il giochino cinico” di Vladimir Putin, e la sua strategia del “prender tempo”,  dovrà avere il “coraggio” di “imporre la propria agenda”, smettendo di “limitarsi a reagire a quella della Russia”: l’editoriale pubblicato ieri dal cancelliere tedesco Friedrich Merz sul Financial Times segna una nuova fase di protagonismo per la Germania a livello europeo. Nel testo, Merz propone di “assicurare la resilienza militare ucraina” superando l’impasse creatasi sugli asset finanziari russi congelati con le sanzioni, attraverso la creazione di un prestito di centoquaranta miliardi per Kyiv, stanziato nel prossimo Quadro finanziario pluriennale europeo. Senza interessi, e da rimborsare una volta ottenute le riparazioni di guerra della Russia. Non per prolungare la guerra, ma per finirla: “Mosca si siederà al tavolo delle trattative solo quando si renderà conto che l’Ucraina ha una capacità di resistenza maggiore di quella che crede”. Merz manda anche “un messaggio chiaro a Washington”: nella discussione per una pace giusta e duratura non si può escludere l’Europa. 


Anche se il pretesto è il quadro finanziario, non siamo di fronte a una semplice proposta ai partner europei in materia di bilancio. Il significato politico della posizione di Merz è quello di legare la sopravvivenza dell’Europa, così come la conosciamo oggi, a quella di Kyiv. Un compito per il quale, nelle parole del cancelliere, “la Germania deve assumersi una parte significativa di responsabilità – e lo farà”. Gli elementi a sostegno a questa assunzione di responsabilità sono concreti: prima ancora di diventare ufficialmente cancelliere, Merz ha ottenuto dal Bundestag la modifica costituzionale per scorporare gli investimenti in difesa dal patto di stabilità, dedicandovi il 3,5 percento del pil, superando così – lui, conservatore tedesco – il dogma del pareggio di bilancio, oltre che la tradizione di una Germania imbarazzata da ogni responsabilità legata alla sfera militare e della difesa. Negli scorsi mesi, inoltre, Berlino ha varato incentivi per il servizio militare volontario, prevedendo di reintrodurre il servizio obbligatorio qualora nei prossimi anni i numeri di volontari non dovessero essere sufficienti.  


“Merz è pragmatico, e ha capito benissimo che l’èra del rapporto privilegiato con Washington è definitivamente tramontata e che i tempi in cui Berlino e Parigi bastavano ad accelerare le riforme europee sono ormai finiti; l’Europa deve saper badare a sé stessa”, dice al Foglio Stefan Fröhlich, professore di Relazioni internazionali all’Università di Erlangen-Nuremberg: “Nell’ultimo anno, la Germania ha insistito moltissimo sulla difesa e l’autonomia strategica, un cambio di prospettiva incredibile rispetto a poco tempo fa”.  Nel 2004, all’alba dell’allargamento a est dell’Europa, Fröhlich scrisse “The Difficulties of EU Governance: What way forward for the EU Institutions?”, un saggio scettico sull’ipotesi che il Consiglio europeo rinunciasse ai suoi poteri in funzione di una predominanza della Commissione, ed evidenziando la difficoltà di riforme radicali nei meccanismi dell’Ue. Oggi, con l’Ue paralizzata sul fronte delle riforme istituzionali, quelle previsioni appaiono quasi ottimiste. “E’ il momento di capire che con le strutture attuali – dice Fröhlich – è quasi impossibile lavorare su alcune necessità di oggi come l’esercito comune, e alcune riforme di cui parliamo da tempo, per esempio la maggioranza qualificata per superare il diritto di veto, sono illusioni”. 


In questo contesto, la soluzione può essere quella di allargare il campo. Merz ha mostrato di apprezzare iniziative multilaterali tra singoli paesi come strumento per aggirare – o stimolare? – la macchinosità della governance europea. La coalizione dei volenterosi è un esempio di questo approccio.  “L’unico futuro – spiega Fröhlich – è creare ‘coalizioni di volenterosi’ su specifici temi strategici”, un approccio che “potrebbe essere condiviso da altri partner, data la crescente consapevolezza della necessità di cambiamenti rapidi e l’insoddisfazione per i meccanismi europei, che in questa fase paralizzano ogni riforma e ogni reale autonomia strategica”, sia essa in funzione di difesa o a livello industriale. Nella sua proposta del prestito, nonostante abbia in mente uno strumento europeo, Merz allarga le opzioni e gli attori coinvolti: “Idealmente, la decisione dovrebbe essere unanime”, scrive, avvertendo però che, se si dovesse fallire, toccherà “a una maggioranza di paesi fermamente intenzionati a difendere l’Ucraina” portarla avanti, aggiungendo che si dovrebbero “invitare altri partner globali, che hanno asset russi congelati, a universi allo strumento”, coordinandosi “con il G7”. Il messaggio è chiaro: discutiamone in sede europea, ma non lasciamoci paralizzare.


Alla svolta di Merz hanno contribuito due fattori: l’instabilità politica francese e la necessità di andare rapidamente oltre alcuni limiti dell’attuale assetto dell’Ue. E’ stato Merz stesso a rivitalizzare l’asse franco-tedesco, (ri)avvicinando Berlino a Parigi con l’obiettivo di realizzare una piattaforma alternativa alla stasi causata dalla governance europea troppo macchinosa. Ma la crisi del governo francese ha reso  più evidente quanto questo ritrovato rapporto abbia nell’instabilità politica francese una vulnerabilità strutturale. Di fronte a questa consapevolezza, Merz deve fare i conti con la necessità di trovare nuove strade. Anche perché, su alcuni dossier aperti, l’intesa è più debole di quanto si voglia far sembrare: sulla risposta ai dazi, i due paesi avevano posizioni molto diverse – dialogante la Germania, oltranzista la Francia; il Mercosur,  priorità per Berlino, è stato a lungo bloccato anche per le resistenze francesi; il progetto comune del caccia Fcas è in crisi, perché la francese Dassault chiede di controllare una quota dell’80 per cento delle attività decisionali e industriali, lasciando ad Airbus, a forte componente tedesca, solo aspetti secondari; questa settimana, all’Onu, Macron ha allineato la Francia ai paesi che riconoscono lo stato palestinese, tra cui non figura la Germania dato che la linea del governo Merz è di continuare a considerarlo l’atto finale del percorso che porti alla costruzione di due stati che si riconoscono reciprocamente.


Passare dall’allineamento alla Francia al porsi alla guida di una coalizione è un cambio di prospettiva dalla quale può emergere anche la reale capacità di leadership di Merz a livello europeo (e non solo), inaugurando una nuova politica estera tedesca. “E’ chiaro – dice Fröhlich – che in questa prospettiva ogni coalizione dovrà tenere presenti i rapporti di forza attuali: includere l’Italia, così come i paesi nordici e quelli del fianco orientale, è necessario”.  Ma la rivitalizzazione della politica estera tedesca ed europea non verrà da sé: con la mossa di ieri, intanto, Merz ha lanciato un nuovo appello ai volenterosi.

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