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medio oriente
Con le spalle diplomatiche al muro all'Onu e nei cieli, Netanyahu bombarda gli houthi
Isolato diplomaticamente e costretto a evitare lo spazio aereo europeo per timore di arresti, il presidente israeliano cerca di rilanciare la forza militare colpendo in Yemen. Intanto, il riconoscimento internazionale della Palestina avanza anche tra le democrazie occidentali, acuendo l’isolamento di Israele
L’aereo “Wings of Zion”, utilizzato dal premier israeliano Benjamin Netanyahu per i voli ufficiali, ha modificato per la prima volta la sua rotta verso gli Stati Uniti, evitando di passare sopra i paesi europei e aggiungendo così oltre seicento chilometri alla sua rotta abituale. Nei suoi precedenti voli verso gli Stati Uniti, l’aereo era passato dalla Francia e dall’Europa centrale. Stavolta, Netanyahu è passato dall’Italia e dallo stretto di Gibilterra, per evitare i mandati di arresto europei nei confronti emessi dalla corte penale dell’Aia. A maggio, il premier israeliano aveva cancellato un viaggio in Azerbaijan per evitare lo spazio aereo della Turchia. La Slovenia ieri ha dichiarato Netanyahu persona non grata. “Poche cose illustrano l’isolamento diplomatico d’Israele più della rotta che il suo aereo (senza giornalisti) sta prendendo questa mattina in rotta verso New York, procedendo con cautela per evitare di sorvolare paesi in cui potrebbe essere arrestato”, ha scritto Anshel Pfeffer, biografo di Netanyahu e corrispondente dell’Economist. Ieri all’Onu prendeva la parola il presidente dell’Autorità nazionale palestinese, Abu Mazen, che ha accusato Israele di “genocidio”, cercando allo stesso tempo di presentare l’Anp come l’alternativa di governo a Hamas. Israele si ritrova ora con le spalle al muro, con 153 nazioni che riconoscono l’indipendenza palestinese. Decenni di sforzi per impedire tale riconoscimento sono falliti, creando una nuova realtà diplomatica.
Laddove un tempo il riconoscimento palestinese proveniva principalmente da stati arabi e non allineati, questa volta sono state le democrazie – Francia, Regno Unito, Canada, Australia, Spagna e altri – a guidare la carica. Israele ora si aspetta che anche le poche democrazie che ancora resistono, come Finlandia, Giappone e Corea del Sud, alla fine aderiscano. Il Belgio ha legato il riconoscimento al rilascio degli ostaggi e al disarmo di Hamas e anche Germania, Italia, Ungheria, Repubblica Ceca e Argentina hanno resistito al riconoscimento, ma la Francia sta già pianificando una seconda ondata di riconoscimenti, sperando di coinvolgere la Corea del Sud e Singapore. La decisione non eleva il seggio palestinese oltre lo status di osservatore non membro che detiene dal 2012. Richiederebbe un voto del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, dove gli Stati Uniti hanno il potere di veto.
Un isolamento israeliano più profondo significherebbe tagli al commercio e il divieto per gli scienziati israeliani di collaborare (secondo il londinese Times, la Uefa starebbe seriamente valutando il bando di Israele). Niente di tutto ciò è ancora avvenuto, ma la leadership israeliana sembra prepararsi nel lungo periodo evocando Sparta. Sconfitto sull’ottavo fronte, quello mediatico e diplomatico, Israele continua a colpire su quello militare e non solo a Gaza City. Ieri l’aeronautica militare israeliana ha bombardato gli houthi nella capitale dello Yemen, Sana’a, proprio mentre parlava il leader del gruppo terroristico filo Iran, Abdul-Malik al Houthi (è stata la più importante operazione militare israeliana in Yemen). Gli attacchi israeliani sono avvenuti il giorno dopo che un drone houthi si è schiantato sulla città israeliana di Eilat, il terzo in meno di due settimane e che ha bucato il sistema di difesa di Iron Dome. Il ministro della Difesa, Israel Katz, la settimana scorsa aveva detto: “Abdul-Malik al Houthi, il tuo momento arriverà e la bandiera degli houthi con scritto ‘Morte a Israele’ sarà sostituita dalla bandiera israeliana che sventolerà sulla capitale dello Yemen unito”.

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