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Questione mediorientale

Trump rivuole la base di Bagram, ma fu lui a lasciarla ai talebani

Francesca Marino

Il presidente americano è ossessionato dalla base simbolo del ritiro dall’Afghanistan. Un luogo che intreccia terrorismo, Cina, Iran e gli equilibri fragili dell’Asia meridionale

Il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, rivuole indietro la base militare di Bargram, in Afghanistan, a circa 60 chilometri a nord-est di Kabul. E minaccia conseguenze non meglio specificate in caso contrario. Secondo il presidente, abbandonarla è stato “l’errore degli errori”, la ritirata che ha compromesso l’immagine internazionale degli Stati Uniti. Trump lo sostiene da tempo e lo ha ribadito anche a Londra durante una conferenza stampa: “Bisognava mantenere una presenza a Bagram… Bagram si trova a un’ora da dove la Cina produce le sue armi nucleari”. La base è anche strategicamente vicina al confine occidentale dell’Iran.

 

Nel 2021 gli Stati Uniti lasciarono la base nottetempo, consegnandola di fatto ai talebani. Sul terreno sono rimasti circa sette miliardi di dollari in mezzi e attrezzature, oggi rivenduti con profitto a Kabul sul mercato della jihad locale e internazionale. Tuttavia, se la retorica di Trump è molto energica, la memoria storica sembra breve: durante il suo primo mandato, infatti, l’ex presidente contribuì a definire a Doha l’accordo che legittimava i talebani come interlocutori e autorizzava la cessione di Bagram, a condizione che l’Afghanistan non sarebbe più diventato un rifugio per i terroristi. Questa promessa è rapidamente venuta meno: oggi l’ISIS-K continua a compiere attentati, al Qaida ha ripreso a operare nei campi di addestramento sulle montagne e gli stessi talebani addestrano nuove leve jihadiste, locali e regionali.

 

Le voci su un possibile ritorno americano a Bagram circolano da mesi: ad aprile l’agenzia Khaama Press riportava la presenza di C-17 atterrati nella base e visite di alti funzionari della Cia. Tutto ufficialmente smentito, ma non del tutto improbabile, soprattutto oggi, con il terrorismo in ripresa, l’influenza cinese sull’Asia centrale e l’Iran sotto pressione. Non a caso, di tanto in tanto si sente parlare  persino di una possibile riapertura dell’ambasciata americana a Kabul. Il punto è che Bagram non riguarda solo Teheran o Pechino: influisce anche sul delicato equilibrio indo-pachistano. Il sostegno di Washington a Islamabad, insieme alle sanzioni sul corridoio di Chabahar, indebolisce l’India e apre spazi alla Cina. E’ un cortocircuito di coerenza politica, dove passato e presente si intrecciano e la storia si ridefinisce con la retorica dei leader.

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