al palazzo di vetro

Per Prabowo la sicurezza di Israele è importante come quella della Palestina

Giulia Pompili

Il presidente indonesiano fa un discorso potete all’Assemblea generale dell'Onu, promettendo 20 mila volontari per Gaza e il riconoscimento reciproco dei due stati. Sullo sfondo, però, il paese musulmano più popoloso del mondo affronta una fase di instabilità interna e accuse di ipocrisia diplomatica

L’altro ieri all’Onu il presidente della Repubblica d’Indonesia, Prabowo Subianto, ha risposto anche al presidente americano Donald Trump che sosteneva che le Nazioni Unite fossero un fallimento: “Noi crediamo nell’Onu. E continueremo a servire dove la pace ha bisogno di guardiani, non solo con le parole, ma con l’impegno concreto sul campo”. Prabowo è in cerca di legittimità internazionale, dopo che internamente, e soprattutto di recente, la situazione in Indonesia è sempre più instabile. Eppure a New York, di fronte all’Assemblea, ha fatto un discorso semplice e potente.

 


Il leader della nazione a maggioranza musulmana più popolosa del mondo ha annunciato che il suo paese “è pronto a inviare 20 mila o anche più dei nostri figli e delle nostre figlie per contribuire a garantire la pace a Gaza, se e quando il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite e questa grande Assemblea lo decideranno”. Mentre a Nusa Dua, sull’isola di Bali, i rappresentanti economici del governo indonesiano e dell’Unione europea firmavano la conclusione di un Trattato di libero scambio a lungo atteso – segnale di una sostanziale apertura indonesiana all’Europa e in generale all’occidente –   Prabowo faceva il suo debutto all’Onu, primo presidente indonesiano a partecipare ai lavori da dieci anni, nel corso della sessione ad alto livello co-organizzata da Francia e Arabia Saudita dedicata alla soluzione dei “due stati” per risolvere il conflitto israelo-palestinese. 

 


“Dobbiamo garantire lo stato palestinese, ma l’Indonesia dichiara anche che, una volta che Israele avrà riconosciuto l’indipendenza e la sovranità della Palestina, l’Indonesia riconoscerà immediatamente lo stato di Israele”, ha detto Prabowo davanti ai leader mondiali, e poi ha aggiunto che Giacarta è pronta a sostenere “tutte le garanzie di sicurezza per Israele”. Un passaggio che ha suscitato gli applausi dell’Assemblea. “La statualità deve significare pace. Il riconoscimento deve tradursi in una prospettiva reale di pace duratura. Una pace vera per entrambe le parti”. Prabowo ha poi concluso il suo discorso pronunciando  la parola shalom, pace in ebraico, e subito dopo ha ricevuto il plauso di molti, perfino di Trump. 

 


Prima dell’attacco di Hamas  del 7 ottobre del 2023, il percorso di normalizzazione delle relazioni diplomatiche fra Israele e Indonesia era stato ampiamente avviato dal predecessore di Prabowo, Joko Widodo. Poi tutto era stato congelato, anche a causa della forte pressione dell’opinione pubblica – come la Malaysia e gran parte dei paesi del sud est asiatico, la causa palestinese è sempre stata identitaria per la popolazione indonesiana, tanto che anche nel suo discorso inaugurale il 20 ottobre del 2024  lo stesso Prabowo aveva detto che “dobbiamo essere solidali; dobbiamo difendere i popoli oppressi del mondo. Per questo sosteniamo l’indipendenza del popolo palestinese”. Ma come scrive Daniel Peterson in un recente paper per l’Institut français des relations internationales, “nonostante il sostegno di lunga data alla statualità palestinese e alla soluzione dei due stati, la posizione diplomatica dell’Indonesia si è evoluta sin dalla sua indipendenza” e resta ancorata alla “storica politica estera del paese, improntata al non-allineamento o bebas dan aktif (libera e attiva), e all’avversione per i patti militari”. Già a maggio, incontrando il presidente francese Emmanuel Macron,  Prabowo aveva legato direttamente il riconoscimento di Israele all’indipendenza della Palestina dicendo: “Dobbiamo riconoscere e garantire i diritti di Israele come paese sovrano a cui occorre prestare attenzione e garantire la sicurezza”. Non è facile per un leader, a maggior ragione il leader di un paese a maggioranza musulmana, riconoscere le necessità di sicurezza di Israele, ma è nella tradizione di islam moderato indonesiana che ha subìto la ferocia degli attacchi degli estremisti, e della tradizione di coesistenza pacifica che fa parte  dell’identità geografica di un paese composto da oltre 17 mila isole. 

 


Internamente, il discorso di Prabowo è stato criticato non per il messaggio, ma per la velata ipocrisia che lo accompagna se ascoltato dall’interno: “Un discorso all’Onu è simbolico, ma la credibilità si basa sulla coerenza tra ciò che viene promesso all’estero e ciò che viene praticato in patria”, ha scritto in un editoriale il Jakarta Post. “Per l’Indonesia, il rischio è che il simbolismo superi la sostanza e che il mondo si chieda se la retorica di Giacarta corrisponda alla realtà”. Molti dei giovani che hanno protestato nelle scorse settimane contro la corruzione al governo e la militarizzazione delle istituzioni sono ancora in carcere. L’indipendenza in politica estera di Prabowo l’ha portato il 3 settembre a sfilare con i paesi non allineati alla parata militare di Xi Jinping, e ieri a Giacarta c’è stato l’ennesimo incontro con l’ambasciatore russo in Indonesia, Sergei Gennadievich Tolchenov, e la Marina militare del paese per rafforzare la cooperazione bilaterale. Il messaggio di  Prabowo su Israele e Palestina è stato potente, ma rischia di depotenziarsi se all’apertura sincera alle democrazie liberali occidentali Giacarta continuerà ad accompagnare il continuo flirt con i loro nemici. 

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  • Giulia Pompili
  • È nata il 4 luglio. Giornalista del Foglio da più di un decennio, scrive soprattutto di Asia orientale, di Giappone e Coree, di Cina e dei suoi rapporti con il resto del mondo, ma anche di sicurezza, Difesa e politica internazionale. È autrice della newsletter settimanale Katane, la prima in italiano sull’area dell’Indo-Pacifico, e ha scritto tre libri: "Sotto lo stesso cielo. Giappone, Taiwan e Corea, i rivali di Pechino che stanno facendo grande l'Asia", “Al cuore dell’Italia. Come Russia e Cina stanno cercando di conquistare il paese” con Valerio Valentini (entrambi per Mondadori), e “Belli da morire. Il lato oscuro del K-pop” (Rizzoli Lizard). È terzo dan di kendo.