
Cosa c'entrano le elezioni in Arizona con il rilascio degli Epstein files
Con il 70 per cento dei consensi Adelita Grijalva ha vinto le suppletive: sarà la firma numero 218 nella petizione bipartisan per desecretare le carte del processo riguardante il magnate newyorchese
Normalmente le elezioni suppletive americane attirano poco l’attenzione del grande pubblico. A maggior ragione se il risultato è scontato, come nel settimo distretto dell’Arizona, dove il 23 settembre si è votato per sostituire il defunto deputato Raul Grijalva, un progressista di ascendenza messicana in carica da oltre vent’anni. A prendere il suo posto, la figlia Adelita, con il 70 per cento dei consensi. Al limite si potrebbe notare come il consenso dei democratici sia salito di oltre 13 punti rispetto allo scorso novembre. Ma questa volta c’è molto di più. La giovane Grijalva smuove una vicenda ormai vecchia di un paio di mesi: il rilascio dei file relativi al processo Epstein. La neodeputata, infatti, sarà la firma numero 218 nella petizione bipartisan lanciata dal deputato repubblicano dissidente Thomas Massie insieme con il collega californiano Ro Khanna per desecretare le carte del processo riguardante il controverso magnate newyorchese. Una mossa parlamentare usata di rado che serve per bypassare il potere dei leader dell’assemblea di decidere la calendarizzazione delle discussioni. La lista di firme ne comprende solo quattro repubblicane: lo stesso Massie più tre colleghe ipertrumpiane come Marjorie Taylor Greene della Georgia, Nancy Mace del South Carolina e Lauren Boebert del Colorado. Dallo scorso luglio, infatti, il mondo Maga ha cambiato drasticamente idea rispetto alla vicenda relativa al finanziere pedofilo e al suo giro di clienti facoltosi e altolocati. Se prima delle elezioni la pubblicazione di questi documenti era il grido di guerra di Trump e di tutto il suo variopinto ecosistema mediatico fatto di podcaster, influencer e in qualche caso persino qualche giornalista diventato star di X come Tucker Carlson, ora invece si tratterrebbe di “una bufala portata avanti dai democratici” e che tutto sommato la discussa morte di Epstein in carcere nel 2019 alla fine era un suicidio, come detto, all’epoca.
E allora ecco che le parti cambiano e lo speaker Mike Johnson diventa il più grande difensore della Casa Bianca e della sua posizione, dopo che per mesi la procuratrice generale Pam Bondi ha affermato che la lista era “sulla sua scrivania”. Dati i precedenti, il leader repubblicano pensava di poter contare sulla pressione esercitata dal presidente, come in occasione dell’approvazione del budget a inizio anno. Invece così non è successo e le tre seguaci sono rimaste ferme nella loro posizione. A quel punto Johnson dispone di due opzioni per fermare la petizione che lui ha definito inutile, preferendo istruire un’indagine congressuale da parte della Commissione di Vigilanza. O convince uno dei quattro firmatari repubblicani, oppure cercare di stopparla con un voto della Commissione del regolamento, giudicandola inammissibile. Una mossa però estremamente rischiosa, a maggior ragione dopo che qualche giorno fa la deputata repubblicana Virginia Foxx ha dichiarato in una breve intervista che non si opporrà al voto. A quel punto però non tutto è perduto per l’Amministrazione: la palla passerebbe al Senato dove il leader di maggioranza John Thune finora è riuscito a sopire gli sforzi dei dem per chiedere al dipartimento di Giustizia il rilascio dei file processuali di Epstein. Anche in questo caso ci sarebbe una mossa a disposizione, quella di non discutere affatto. Mossa già utilizzata in modo estremamente controverso nel marzo 2016, quando l’allora leader Mitch McConnell si rifiutò di prendere in considerazione la nomina da parte di Barack Obama del sostituto del giudice conservatore Antonin Scalia. In quel caso, si trattava di una mossa che piaceva molto alla base repubblicana. In questo caso invece non solo si tratterrebbe di una posizione molto difendibile a livello politico, ma darebbe l’impressione ai media che i repubblicani e Donald Trump hanno qualcosa di pesante da nascondere. Proprio quello di cui veniva accusato Joe Biden durante il suo mandato presidenziale. Una questione quindi, quella del rapporto di Trump con Epstein, che sembra aver rotto l’incredibile resistenza politica di Donald Trump a scandali di ogni tipo che avrebbero affossato qualsiasi altro presidente.