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l'analisi

Più che perdersi nei problemi dello stato palestinese, l'Ue oggi ha una grande chance con i paesi arabi

Oscar Giannino

Il riconoscimento simbolico voluto da alcuni governi occidentali è un gesto utile solo al consenso interno e privo di effetti reali sul terreno. Serve invece un'iniziativa condivisa con il mondo arabo per disarmo, ricostruzione e una nuova leadership legittima a Gaza

È quasi impossibile non essere equivocati, se si afferma che non ha senso la posizione assunta da governi come quello francese, spagnolo, belga, finlandese, australiano e canadese, che all’Assemblea generale dell’Onu dichiarano il loro riconoscimento dello stato della Palestina. Si viene subito considerati sostenitori di Netanyahu, servi di Trump e indifferenti al terrificante bilancio di morte e distruzione in atto a Gaza. Eppure è necessario non farsi smontare dalla gigantesca pressione politica e popolare in atto in mezzo mondo e che trasuda di antisemitismo: bisogna ragionare con freddezza. Tanto più bisogna farlo, quanto più si è convinti che il governo Netanyahu coi suoi pilastri razzisti di Smotrich e Ben-Gvir debba essere sconfitto alle prossime elezioni, previste non oltre ottobre 2026. La parte di elettorato israeliano che guarda con favore al liberarsi una volta per tutte con la forza della questione palestinese è tornata a crescere, e la solita accidia parolaia di Trump ha concesso a Netanyahu tutto il margine per continuare nella sua quotidiana campagna di distruzione. 


Macron, Sánchez e Starmer, i premier di Australia e Canada sanno benissimo che la Palestina non ha oggi le caratteristiche minime essenziali per essere considerata uno stato secondo il diritto internazionale. Annunciano il suo riconoscimento solo per esercitare pressione politica su Gerusalemme e per assecondare le proprie piazze. Ma così facendo non si rivolgono né alla parte politica di Israele, che ragiona, come Yair Lapid, Yair Golan e Avigdor Lieberman, né ai paesi arabi degli accordi di Abramo, cioè agli interlocutori necessari per una qualunque prospettiva di sicurezza del medio oriente e di Israele, di tutela dei civili palestinesi e della ricostruzione di Gaza. E’ invece quanto si doveva fare, all’Assemblea Onu. Costruire una proposta politico-diplomatica di cui c’erano già le premesse. L’Unione europea, non gli Stati Uniti, è il primo partner economico e commerciale di Israele, i palestinesi hanno estremo bisogno del sostegno finanziario europeo per aiuti e ricostruzione, e dopo il bombardamento israeliano in Qatar i paesi della Lega araba hanno meno difficoltà a intese con l’Europa che con Trump, che non dice una parola sul progetto di riannessione a Israele della Cisgiordania. 
Due mesi fa a New York la Lega araba insieme a paesi europei e occidentali sottoscrisse un appello congiunto senza precedenti, chiedendo ad Hamas il suo disarmo totale. Ne derivò la “New York Declaration” elaborata da Francia e Arabia Saudita, che all’Onu ottenne il 12 settembre 140 voti a favore e che condannava senza esitazione l’attacco di Hamas del 7 ottobre 2023 e la presa di ostaggi chiedendone il rilascio, condizionava l’ipotesi di uno stato palestinese alla totale scomparsa di Hamas, impegnava l’Onu a una missione di supporto per costruire le basi di una nuova statualità palestinese. 


Era un passo avanti comune. Una base su cui l’Europa può costruire rapidamente una proposta che conceda ai gazawi il diritto di ritorno in una Striscia ricostruita con l’impegno dell’Ue e di Arabia Saudita ed Emirati, avvii la costituzione  di una nuova Autorità palestinese che non sia figlia della strage di esponenti di Fatah compiuta da Hamas per impadronirsi del potere nel 2007 col sostegno dell’Iran, e che insieme costituisca un punto di riferimento per le forze democratiche in Israele che non si riconoscono nella sanguinosa opzione militare di Netanyahu, che intende cancellare dalla carta geografica e dalla storia la questione palestinese. Una simile proposta euro-araba eviterebbe a Israele di versare altro sangue nell’occupazione di Gaza, in cui quel che resta di Hamas vede affluire nuove ondate di giovani pronti al martirio, avvierebbe cooperando con i paesi arabi una demilitarizzazione della nuova Autorità palestinese, e conterebbe su ingenti risorse finanziarie  per ridare ai palestinesi prospettive di vita e, un domani, di benessere. Gli Usa con Trump hanno perso capacità di visione diversa da progetti immobiliari alla Las Vegas. Un’alternativa concreta euro-araba alla guerra e alle stragi è possibile, ma non con roboanti riconoscimenti di ciò che oggi non esiste, cioè uno stato palestinese.    

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