LaPresse

il girotondo

Quel che Macron ha sottovalutato nella sua iniziativa per la Palestina

Mauro Zanon

Il presidente francese vuole ridorare la sua immagine sia sul piano internazionale che nazionale, in un momento in cui la popolarità è ai minimi storici, ma è una scommessa rischiosa. Parlano alcuni intellettuali come Alain Finkielkraut e Bernard-Henri Lévy

Sono in quattordici attorno al tavolo del Salon des Ambassadeurs, la sala dell’Eliseo dove ogni mercoledì si riunisce il Consiglio dei ministri. Sono intellettuali, filosofi, scrittori, imprenditori, tutti con un legame forte con il mondo ebraico. Il presidente della Repubblica francese, Emmanuel Macron, ha deciso di convocarli lo scorso 11 settembre per illustrare le ragioni che lo hanno spinto ieri a riconoscere la Palestina come stato autonomo e indipendente in occasione dell’Assemblea generale dell’Onu a New York, e rassicurarli sul tema della lotta all’antisemitismo, che resta una priorità della sua presidenza. Ogni invitato ha difeso la sua posizione davanti all’inquilino dell’Eliseo e agli altri commensali.

 

L’accademico di Francia Alain Finkielkraut è tra i pochi a sostenere la decisione del presidente francese, si lancia in una dura requisitoria contro la politica del premier israeliano Benjamin Netanyahu e afferma che il riconoscimento dello stato palestinese, contrariamente all’idea diffusa tra i vertici del Crif, il Consiglio rappresentativo delle istituzioni ebraiche di Francia, è “il peggior regalo che si possa fare a Hamas”, perché il riconoscimento di due stati seppellisce automaticamente la rivendicazione di una Palestina “dal fiume al mare”. Il filosofo e saggista Pascal Bruckner sostiene invece che l’iniziativa diplomatica di Macron rischia di provocare un ulteriore aumento dell’antisemitismo. Bernard-Henri Lévy, tra i presenti, è il più indignato dalla decisione del presidente francese, e lo dice: “E’ una catastrofe per la Francia, per Israele e per la pace. Ciò non farà altro che aumentare l’aura di Hamas tra il popolo palestinese e nella regione”. Una posizione condivisa sia da Maurice Lévy, ex patron del colosso pubblicitario Publicis, sia dall’avvocato Pierre-François Veil, figlio di Simone.

 

Tra gli invitati del presidente Macron, c’è anche lo storico Marc Knobel, specialista del giudaismo, ex vicepresidente della Licra e membro dell’Observatoire sur l’antisémitisme. “Emmanuel Macron vuole lasciare un segno nell’opinione pubblica internazionale e in particolare in quella francese. E’ convinto che questo conflitto sia durato troppo a lungo, che la situazione umanitaria sia diventata insostenibile e che Netanyahu stia trascinando Israele in un vicolo cieco. Secondo lui, l’unica soluzione per porre fine a questa guerra è il riconoscimento di uno stato palestinese. Ne è intimamente convinto”, dice al Foglio Knobel. La “lenta conversione” di Macron, come la definisce il Monde, verso il riconoscimento della Palestina, ha subìto un’accelerazione tra la fine del 2023 e l’inizio del 2024. “Fino a quel momento, Macron era relativamente riservato sulla questione del riconoscimento di uno stato palestinese: non era un’opzione sul tavolo. Ma la vasta offensiva dell’esercito israeliano, il bilancio delle vittime civili a Gaza e la sua visita in Egitto ad aprile, ad Al Arich, dove ha incontrato i rifugiati palestinesi, lo hanno profondamente segnato. Accanto a ciò, credo abbia anche ascoltato quello  che gli hanno detto alcuni dei suoi consiglieri”, spiega Knobel. 

 

Tra questi l’inviato speciale in medio oriente, Ofer Bronchtein, presidente e cofondatore del Forum internazionale per la pace, nato nel 2002 per promuovere il dialogo tra israeliani e palestinesi. All’Express, Bronchtein si è detto “felice di aver contaminato il presidente francese” sulla questione del riconoscimento dello stato palestinese, confermando che la svolta, quella decisiva, è avvenuta in Egitto, ad Al Arish. “In Egitto Macron ha toccato con mano la catastrofe umanitaria. Sull’aereo di ritorno, ha annunciato ai giornalisti la sua intenzione di riconoscere lo stato di Palestina, senza specificare una data”, ha raccontato Bronchtein. La data del 22 settembre, secondo le informazioni del settimanale francese, sarebbe stata decisa il 13 giugno, quando Israele ha lanciato la sua offensiva lampo contro l’Iran, le sue basi militari e i suoi siti nucleari. Una “scommessa rischiosa”, come scrive il Figaro. Proprio sul quotidiano conservatore, venerdì, venti esponenti di spicco del mondo intellettuale e culturale francese, tra cui l’economista Alain Minc e il filosofo Raphaël Enthoven, hanno cofirmato una lettera aperta all’attenzione dell’inquilino dell’Eliseo, in cui hanno chiesto di subordinare il riconoscimento di uno stato palestinese alla liberazione degli ostaggi e allo smantellamento di Hamas: senza il rispetto di queste condizioni, la Francia concederebbe una “vittoria simbolica” al movimento terroristico palestinese, “che non farebbe altro che aggravare la morsa mortale imposta ai palestinesi”. “Hamas percepisce il riconoscimento della Francia come una ricompensa per i massacri antisemiti del 7 ottobre 2023”, dice al Foglio Dominique Reynié, politologo, professore a Sciences Po e tra i firmatari della lettera pubblicata sul Figaro. “Si inizia dal risultato, il riconoscimento, senza che i prerequisiti vengano rispettati, ossia la liberazione degli ostaggi israeliani, lo smantellamento di Hamas e la riforma dell’Autorità nazionale palestinese, condizioni che lo stesso Macron aveva fissato. E’ molto imprudente prendere una decisione quando non si è in grado di controllarne le conseguenze”, aggiunge Reynié. 

 

Nella testa di Macron c’è la convinzione di poter cambiare il corso della storia, di lasciare una traccia, di ridorare la sua immagine sia sul piano internazionale che nazionale, in un momento in cui la popolarità è ai minimi storici: solo il 15 per cento dei francesi ha ancora fiducia in lui, secondo un sondaggio pubblicato a inizio settembre dal Figaro Magazine. “L’immagine restituita da Macron è quella di un presidente che è al vertice di uno stato, la Francia, che sta attraversando una crisi molto grave e dà l’impressione di poter crollare, ma non se ne cura, e anzi si preoccupa di fondare un altro stato. Fa nascere uno stato che non esiste, invece di salvare il suo che è in pessime condizioni di salute”, afferma Reynié, secondo cui “le conseguenze di questo riconoscimento rischiano non solo di destabilizzare ulteriormente il vicino oriente, ma anche di aggravare le tensioni sociali in Francia. Potremmo avere dei grandi problemi di ordine sociale, con scontri nelle strade, in un clima già appesantito dalla recrudescenza dell’antisemitismo”.