L'ingegno di Kyiv

Le "sanzioni" ucraine alla Russia funzionano

Paola Peduzzi

Gli attacchi con i droni alle raffinerie e ai porti russi potrebbero costringere Mosca a rivedere al ribasso la produzione di petrolio

L’Ucraina non si stanca di chiedere ai suoi partner occidentali garanzie di sicurezza per sé e sanzioni contro la Russia, ma intanto s’industria su entrambi i fronti. Ha costruito un sistema di difesa tanto sofisticato che ora che Vladimir Putin s’è messo a testare la tenuta della Nato con sconfinamenti deliberati in Polonia, l’Unione europea vuole costruire un “drone wall” con la tecnologia che viene utilizzata dagli ucraini, gli unici in Europa e nella Nato ad avere competenza e innovazione all’altezza dell’aggressione russa, visto che si difendono da tre anni. 

L’Ue vuole creare “un’alleanza di droni” con Kyiv, sostenuta da €6 miliardi di finanziamenti per “trasformare l’ingegno ucraino in vantaggio sul campo di battaglia e in industrializzazione congiunta”, ha detto la presidente della Commissione, Ursula von der Leyen. L’Ucraina non può fare a meno dei suoi alleati per la difesa aerea dai missili russi – che colpiscono spietati ogni giorno obiettivi civili – ma è pioniera nella difesa dai droni russi, scrive il Financial Times: poiché i radar standard non sono in grado di rilevare gli Shahed che volano a bassa quota, le aziende tech ucraine hanno sviluppato un sistema di sensori acustici in grado di identificarli tramite il suono, le informazioni vengono poi fornite a centinaia di squadre mobili con cannoni antiaerei e mitragliatrici, “una soluzione molto più economica rispetto all’utilizzo di intercettori missilistici”. La scorsa settimana il presidente Volodymyr Zelensky ha offerto alla Polonia una formazione su come combattere i droni russi, in particolare gli Shahed di fabbricazione iraniana, in modo economicamente sostenibile.

L’Ucraina insomma ci fornisce garanzie di sicurezza a costi efficienti e intanto compensa anche i ritardi occidentali sulle sanzioni, con quelle che Zelensky ha definito “le sanzioni che funzionano più velocemente”.   Reuters ha pubblicato un’esclusiva in cui cita tre fonti che dicono che Transneft, il monopolio russo degli oleodotti, ha avvertito i produttori che potrebbero dover tagliare la produzione in seguito agli attacchi dei droni ucraini contro porti e raffinerie. Transneft nega, dice che si tratta di dicerie, le armi della “guerra dell’informazione” dell’occidente contro la Russia, ma da agosto a oggi i droni ucraini hanno colpito almeno dieci raffinerie, diminuendo la capacità di raffinamento del 20 per cento e danneggiando due porti nel Baltico, Ust-Luga (colpito ad agosto e ancora, secondo le fonti di Reuters, non funzionante come prima dell’attacco) e soprattutto Primorsk, che è il più grande porto russo di carico del petrolio: è la prima volta dall’invasione russa del 2022 che gli ucraini colpiscono questo enorme hub che esporta un milione di barili ogni giorno, circa il 10 per cento della produzione totale della Russia. Le attività sono riprese, ma sembra non a pieno ritmo. Transneft, che gestisce l’80 per cento del petrolio estratto in Russia, ha limitato la capacità delle aziende petrolifere di immagazzinare il greggio nel suo sistema di oleodotti e ha avvertito i produttori che potrebbe dover accettare meno petrolio se le sue infrastrutture dovessero subire ulteriori danni. Questo è quel che riferiscono le fonti di Reuters definite “del settore”, Transneft nega e maledice la propaganda antirussa, il Cremlino non dà alcun dettaglio sui danni, naturalmente, ma gli attacchi ucraini potrebbero costringere la Russia, che rappresenta il 9 per cento della produzione mondiale di petrolio, a tagliare  la produzione. In base all’ultimo accordo dell’Opec+, la quota di produzione petrolifera russa dovrebbe salire a 9.449 milioni di barili al giorno a settembre rispetto ai 9.344 milioni di barili al giorno di agosto, ma il problema della Russia è proprio lo stoccaggio. A differenza di altri paesi del cartello petrolifero, come il più importante, l’Arabia Saudita, la Russia non ha una grande storage capability: non ce l’ha mai avuta e tantomeno ce l’ha ora che gli ucraini colpiscono le sue infrastrutture con questa precisione strategica. “La capacità della Russia di aumentare la produzione di petrolio è ora minacciata a causa della limitata capacità di stoccaggio, dice JP  Morgan in una nota, mentre Goldman Sachs parla di “congestione dello stoccaggio” e del relativo rallentamento imposto alla produzione. Entrambe le banche però dicono anche: la produzione russa diminuirà in misura ridotta perché ci sono gli acquirenti asiatici che comprano. 

E’ qui, proprio come accade per la difesa dai missili russi, che i partner occidentali sono decisivi. L’Europa sta preparando il 19esimo pacchetto di sanzioni alla Russia, che però, almeno nella bozza in discussione, non prevede sanzioni secondarie alla Cina. Gli Stati Uniti sono appesi alla decisione del presidente Donald Trump che continua a dire che gli europei devono prima smettere di comprare gas e petrolio dalla Russia, poi lui penserà alle sanzioni. Ma il problema non è tanto l’acquisto di alcuni paesi europei (peraltro quelli trumpiani, come Slovacchia e Ungheria), quanto la compensazione operata da paesi come la Cina (principalmente la Cina) che con i suoi acquisti e forniture rende più innocue le sanzioni occidentali. Fermare questa compensazione è l’obiettivo principale della legge sulle sanzioni alla Russia che è pronta in Senato da mesi, con un rarissimo sostegno bipartisan enorme (84 senatori), ma per quanto i suoi promotori, in particolare il senatore repubblicano Lindsey Graham, organizzino conferenze stampa ogni tre giorni come se il via libera fosse imminente, ancora Trump non s’è deciso. Graham, che è un politico esperto, ha tentato una mossa furbissima: inserire il pacchetto di sanzioni nel piano per il finanziamento della pubblica amministrazione che evita lo shutdown il 30 settembre prossimo. In questo modo Trump forse non si sarebbe incaponito e, cosa più importante, i democratici avrebbero avuto il dilemma di votare questo piano invece che di farlo fallire come vogliono alcuni. Ma nell’ultimo test in lavorazione al Congresso, le sanzioni alla Russia non c’erano: potrebbero essere cinicamente reinserite, ma nell’attesa l’Ucraina continua a dover far affidamento su sé stessa. 
 

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  • Paola Peduzzi
  • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d'amore - corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d'amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l'Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell'Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi