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medio oriente

L'Idf stringe il cerchio su Gaza City. I rischi per gli ostaggi e le divisioni nel paese

Fiammetta Martegani

L’obiettivo dell'esercito israeliano è circondare Hamas per costringere il gruppo terroristico alla resa. Il dilemma dei rapiti

Tel Aviv. “Non sono pochi i rischi che dovremo affrontare in questa nuova fase del conflitto”, dice al Foglio il generale Israel Ziv – ex comandante della divisione di Gaza – in seguito all’annuncio di oggi delle Forze di difesa israeliane di espandere le operazioni di terra a Gaza City nell’ambito dell’offensiva denominata “Carri di Gedeone 2”.  Secondo il comandante sono molte le criticità dell’operazione, a partire dalla minaccia di Hamas di utilizzare gli ostaggi ancora nella Striscia come scudi umani, tanto che i loro famigliari – sostenuti da un’ampia fascia della popolazione – continuano a protestare ad Azza Street, a Gerusalemme, di fronte alla residenza del primo ministro Benjamin Netanyahu, chiedendo un’interruzione immediata dell’operazione. Il timore è che l’intervento a Gaza City – dove si presume si trovino vivi ancora 20 dei 48 rapiti nella Striscia – possa compromettere le loro vite, poiché Hamas nei giorni scorsi ha dichiarato di averli già spostati dai tunnel alla superficie, per usarli come deterrente bellico. Oltre, dunque, al conflitto interno alla società israeliana, Ziv sottolinea come in questo delicato momento storico Israele si trovi anche isolato politicamente da gran parte della comunità internazionale – Netanyahu oggi, dopo la  conferenza stampa con  il segretario di stato americano Marco Rubio, ha definito il paese una “super Sparta” –  fatta eccezione per gli Stati Uniti. Il presidente americano, Donald Trump, ha subito lasciato ben intendere l’appoggio incondizionato della Casa Bianca nei confronti dell’intervento militare nell’enclave. 


Trump si è immediatamente esposto anche riguardo alla strumentalizzazione degli ostaggi: “Questa è un’atrocità umana, come mai se ne sono  viste. Spero che i leader di Hamas sappiano a cosa andranno incontro se faranno una cosa del genere. Non lasciate che ciò accada. Altrimenti, tutte le porte verranno chiuse, una volta per tutte”. Da oggi due divisioni dell’Idf stanno operando nel quartier generale di Hamas: la 162esima e la 98esima, in attesa che si unisca ai combattimenti anche la 36esima. Lo scopo dell’operazione – come dichiarato dal capo di stato maggiore Eyal Zamir – è quello di circondare la città da ogni lato, in modo da stringere il cerchio attorno a tutti i miliziani del gruppo terrorista, distruggere le loro infrastrutture e costringerli a una resa definitiva. Circa 70.000 riservisti sono già stati mobilitati e altri 60.000 sono in preparazione mentre, per i prossimi mesi, 130.000 sono stati richiamati in servizio fino, presumibilmente, al primo trimestre del 2026.


E’ stato chiaro sin dai primi momenti che l’operazione di terra a Gaza City non si presentasse come una “guerra lampo”, come quella dei “Dodici giorni” in Iran. A eccezione che, continua l’ex generale,  la forte pressione militare possa portare a un’accelerazione dei negoziati, congelati da ormai una settimana, ovvero dalla data dell’attacco aereo israeliano indirizzato verso i vertici di Hamas residenti a Doha. Un’operazione che ha avuto uno scarso successo sul piano strategico: “Nessuno dei principali leader di Hamas è stato ucciso. Forse ci sono state delle vittime in stato di choc”, ha dichiarato oggi ad Axios un alto funzionario dell’intelligence israeliana. Ma ha avuto un forte significato sul piano simbolico, tanto che proprio oggi a Gerusalemme Rubio ha sollecitato il ruolo cruciale del Qatar nel portare avanti e in modo produttivo – come fino a oggi non è ancora  accaduto – i negoziati, con lo scopo di riportare a casa tutti gli ostaggi e terminare il prima possibile il conflitto, ormai prorogatosi troppo a lungo, anche a causa della scarsa collaborazione da parte dell’emirato che da una parte è ufficialmente alleato degli Stati Uniti, ma dall’altra è anche uno dei maggiori finanziatori di Hamas.


Ad aggravare ulteriormente la situazione già di per sé complessa – aggiunge il generale Israel Ziv  – c’è la strumentalizzazione dei civili palestinesi da parte del gruppo terrorista, che sta tardando a evacuarli nel sud della Striscia, come richiesto dall’esercito israeliano. Secondo le Forze di difesa israeliane, circa il 40 per cento della popolazione palestinese è già stato evacuato e sarebbero  stati rispettati tutti gli standard di aiuto umanitario, previsti dal diritto internazionale, per le nuove aree destinate ai residenti nella Striscia di Gaza, dove sono già state allestite 20.000 tende famigliari e predisposti 300 camion al giorno di derrate alimentari. Infine, conclude Israel Ziv, una delle sfide più grandi rimarrà quella all’interno di Israele, sempre più diviso riguardo al proseguimento del conflitto che, da un lato, potrebbe finalmente portare alla resa definitiva del gruppo terrorista ma, dall’altro, rischia di trasformarsi in un “pantano” come è stato quello della guerra in Libano, specie in un contesto bellico ad altissima concentrazione urbana, dove la tecnica utilizzata dai terroristi non è quella di un esercito che combatte in modo frontale contro un altro, ma una guerriglia che potrebbe durare più a lungo del previsto, con perdite umane considerevoli su entrambi i fronti.

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