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lo scenario

Lo sciame e lo scudo. Per una difesa europea dai droni

Carlo Alberto Carnevale Maffè

Doppia ricetta: un’azione dall’alto di politica industriale e una dal basso che metta in moto capitale privato e innovazione

I droni sono diventati l’artiglieria intelligente a basso costo del nostro tempo. Con poche migliaia di euro si possono colpire infrastrutture essenziali, disturbare porti e aeroporti, costringere intere città a misure di protezione continue. Russia e Iran hanno portato alla scala industriale la produzione di droni economici ma efficaci; la Cina domina molte componenti chiave. L’Europa e l’Italia, pur forti in alcuni segmenti di qualità e su modelli sofisticati di droni e anti droni (primi su tutti, i nostri campioni nazionali Leonardo, Elettronica, Fincantieri), faticano a trasformare eccellenze tecniche in quantità, rapidità e prezzi competitivi. Recuperare il ritardo richiede due mosse coordinate: un’azione dall’alto di politica industriale con ordini pubblici chiari e standard comuni; e un’azione dal basso che metta in moto startup, capitale privato e cicli di innovazione veloci. A queste si aggiunge una terza dimensione: costruire una cultura della resilienza civile, perché la minaccia dei droni riguarda prima di tutto la vita quotidiana dei cittadini. 

La guerra in Ucraina ha mostrato che non vince il “pezzo perfetto”, ma l’ecosistema capace di rinnovare e rimpiazzare mezzi rapidamente e in numero sufficiente. I droni “a perdere” – economici, aggiornati spesso via software e sostituibili senza drammi – hanno un ruolo decisivo accanto ai sistemi più complessi. Dall’altra parte, la difesa di città e infrastrutture dipende da sistemi anti droni capaci di rilevare, seguire, riconoscere e neutralizzare obiettivi piccoli e lenti: radar dedicati, sensori ottici e radio, centri di controllo, contromisure che “accecano” o, in casi estremi, abbattono. Il collo di bottiglia europeo non è il talento, ma la scalabilità: servono fornitori per motori, batterie, telecamere termiche, unità di navigazione e collegamenti radio che non dipendano da paesi terzi ostili o incerti.

Che cosa può fare l’Europa “dall’alto”

Una domanda pubblica chiara e pluriennale. L’Unione ha introdotto Safe (nuovo strumento europeo per finanziare su larga scala la base industriale della Difesa) e sta definendo contratti e prestiti dedicati. E’ il momento di varare una “corsia droni”: accordi quadro a tre-cinque anni per tre famiglie di prodotti – droni senza pilota (Uas, Unmanned Aircraft System), veicoli navali senza equipaggio (Usv, Unmanned Surface Vehicle) e sistemi anti drone – con obiettivi misurabili ogni trimestre e opzioni di aumento dei volumi. Non solo per le forze armate, ma anche per reti elettriche, gestori aeroportuali e portuali, protezione civile.
Un ponte tra ricerca e produzione. L’Edip (European Defence Industry Programme) può finanziare linee pilota europee per componenti sensibili: motori elettrici, attuatori, sensori a infrarosso (Ir), unità di misura inerziale (Imu), computer di bordo. L’obiettivo è un catalogo europeo di moduli riutilizzabili – propulsione, navigazione, collegamenti dati, difese elettroniche – in modo che un’impresa possa assemblare e aggiornare piattaforme diverse senza ripartire da zero. Più moduli standard ci sono, più concorrenza e innovazione vedremo.

Regole che abilitano, non che bloccano. La Drone Strategy 2.0 della Commissione europea ha tracciato la rotta del mercato civile, con U-space (il sistema europeo per gestire il traffico dei droni a bassa quota) e Remote Id (identificazione a distanza dei droni). Ora bisogna accelerare davvero: riconoscere più rapidamente i fornitori, verificare l’interoperabilità dei servizi, aprire corridoi di prova in cui pubblici e privati possano testare sicurezza e affidabilità in scenari realistici. Sul fronte della protezione, i manuali del Jrc (Joint Research Centre della Commissione Europea) offrono linee guida per difendere infrastrutture come aeroporti e centrali: trasformiamole in standard minimi obbligatori, con cofinanziamenti europei per sensori e centri di controllo locali.
Finanza pubblica che sblocca quella privata. La Bei (Banca Europea per gli Investimenti) ha già allentato i vincoli per finanziare tecnologie a duplice uso civile-militare. Collegare in modo esplicito Bei, Safe ed Edip significa dare “ponti” di finanziamento tra prototipo e prima produzione, la famosa “valle della morte” in cui tanti progetti innovativi si perdono.

Che cosa deve accadere “dal basso”

Il settore dei droni e della guerra elettronica innova alla velocità dell’elettronica di consumo, non dei programmi militari. I cicli di approvvigionamento della Difesa tradizionali, che durano anni se non decenni, sono incompatibili con una minaccia che si evolve in pochi mesi. Qui entra in gioco il secondo ingrediente della ricetta: l’approccio bottom-up. L’esempio da seguire è, ancora una volta, quello ucraino. Sotto il fuoco, Kyiv ha creato Brave1, un “cluster di difesa governativo che funge da sportello unico” per l’innovazione, mettendo in contatto diretto startup, investitori, militari e agenzie governative. Questo modello ha permesso di trasformare prototipi in capacità operative in poche settimane, non in decenni. L’Europa deve istituire un “Brave1 Europeo”, un acceleratore che, con procedure rapide e fondi dedicati, finanzi l’innovazione proveniente dal suo vivace ecosistema di startup, università e centri di ricerca. Questo richiede di mobilitare il capitale privato. Venture capital e private equity devono vedere nella difesa tecnologica non un settore impenetrabile, ma un’opportunità di investimento strategico. Le istituzioni, a loro volta, devono creare “acquisti-ponte”: piccoli ordini pubblici che fungano da “domanda di validazione”, riducendo il rischio per gli investitori e permettendo alle innovazioni più promettenti di raggiungere la scala industriale. Vediamo che cosa deve fare l’Europa:
Acceleratori e campi prova. La rete Diana (programma Nato Defence Innovation Accelerator for the North Atlantic) mette a disposizione acceleratori e siti di test per tecnologie a duplice uso. L’Europa dovrebbe agganciarla creando aree di prova agili: contesti dove misurare in modo omogeneo quanto bene un sistema anti-drone riconosce e ferma un piccolo quadricottero, quanto resiste al disturbo delle comunicazioni e della navigazione satellitare (Gnss, Global Navigation Satellite System), quanto è sicuro un sistema di guida automatico.

Capitale paziente e co-investimenti. Il Nif (Nato Innovation Fund) ha iniziato a investire in deep tech europee. Gli stati membri, insieme ai grandi gruppi industriali, dovrebbero creare fondi “gemelli” specializzati in quattro aree ad alto impatto: integrazione dei dati di sensori diversi, propulsione elettrica e batterie, intelligenza artificiale (AI) a bordo, materiali e micromeccanica. Il messaggio agli imprenditori deve essere semplice: c’è un mercato, con ordini pubblici credibili e tempi di pagamento certi.

Architetture aperte e interfacce semplici. Un “patto europeo” sulle interfacce minime – fisiche e software – permetterebbe a una piccola impresa di collegare un nuovo sensore o una contromisura a una piattaforma già esistente con tempi e costi ridotti. E’ il modo più rapido per aggiornare i sistemi sul campo senza ricominciare ogni volta la progettazione.
Regole chiare sull’uso dell’AI. L’AI Act (regolamento europeo sull’intelligenza artificiale) può diventare un alleato, e non un ostacolo, solo se lo semplifichiamo e lo traduciamo in checklist pratiche: dati tracciabili, prove in simulazione prima dell’impiego, presenza umana nelle decisioni più delicate, registrazione delle scelte del sistema. Per i cittadini significa più sicurezza; per gli investitori significa meno incertezza legale.

Una rete europea di protezione civile 

I droni ostili non puntano solo a obiettivi militari: cercano l’effetto sociale, seminando paura e disordine. Ecco perché la risposta non può essere confinata ai bilanci della Difesa. Serve una rete di protezione civile fatta di strumenti e persone: sensori a bassa quota integrati nelle reti elettriche, protocolli anti drone per aeroporti e grandi eventi, pattuglie marittime con mezzi di superficie senza equipaggio, sale operative capaci di coordinare in tempo reale polizia locale, protezione civile e gestori di servizi pubblici. Lo stesso investimento può avere una logica dual-use per applicazioni civili e generare benefici immediati: droni per ispezionare viadotti e linee elettriche, prevenire incendi, cercare dispersi in mare salvano vite e tagliano i costi di manutenzione. Così si costruisce consenso: la tecnologia che difende una centrale è la stessa che aiuta dopo un’alluvione. Ora però serve passare ai fatti. Nei prossimi 12-18 mesi l’Unione dovrebbe: avviare contratti quadro finanziati da Safe ed Edip per forniture ricorrenti di droni e sistemi anti drone; finanziare linee europee per componenti sensibili come sensori a infrarosso e unità inerziali; aprire campi prova collegati a Diana, con burocrazia leggera ma misure serie di sicurezza; fissare standard minimi per la protezione anti drone di infrastrutture critiche, cofinanziando l’adeguamento. Entro 24-36 mesi: pubblicare il primo catalogo modulare europeo di componenti riutilizzabili; consolidare U-space e Remote Id in tutti i grandi centri urbani; fare scale-up produttivo con capitale misto pubblico-privato, anche tramite la Bei e fondi nazionali dedicati. In parallelo, costruire una filiera europea per le parti oggi importate in larga misura, così da ridurre rischi geopolitici e tempi di attesa.
Se l’Europa unisce commesse chiare, regole semplici e imprenditorialità diffusa, può trasformare i suoi punti di forza – elettronica, ottica, software e sicurezza – in potenza industriale e sicurezza per i cittadini. Non per imitare altri, ma per trovare un vantaggio competitivo tutto europeo: qualità dove serve, massa dove conviene, e un ponte stabile tra mondo civile e militare. E’ una sfida che riguarda governi, grandi aziende, startup, finanza e amministrazioni locali. Ed è una sfida che non possiamo rimandare: la tecnologia corre insieme alla geopolitica; sta a noi decidere se subirla, inseguirla o guidarla.

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