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Hegseth e Dong Jun si parlano, ma Trump continua a corteggiare Pechino

Redazione

La divergenza resta però sostanziale: per la Cina il dialogo serve a vincolare gli Stati Uniti a un riconoscimento delle sue pretese territoriali, mentre per Washington è uno strumento di gestione della competizione

La videotelefonata di ieri fra il segretario alla Guerra americano, Pete Hegseth, e il ministro della Difesa cinese Dong Jun rappresenta un passaggio rilevante nei rapporti fra Washington e Pechino. Non è soltanto il primo contatto diretto a questo livello da diversi mesi, ma avviene a distanza di una settimana esatta dalla grande parata militare a Pechino, lo show di forza di Xi Jinping alla presenza del presidente della Federazione russa Vladimir Putin e del dittatore nordcoreano Kim Jong Un. Il tempismo non sembra casuale: la Cina ha scelto di mostrare la propria centralità militare e politica in Asia, mentre Washington è ancora in una fase di incomprensibile incertezza sulla propria strategia verso Pechino.

 

L’Amministrazione Biden aveva inizialmente posto come obiettivo prioritario il mantenimento di canali militari bilaterali aperti, per ridurre il rischio di incidenti e garantire un minimo di prevedibilità nelle relazioni. Quei colloqui però erano stati sospesi dalla Cina, e nel frattempo sono perfino aumentate le tensioni sullo stretto di Taiwan e nel Mar cinese meridionale. La decisione di riprenderli, anche solo in forma virtuale, segnala un cambio di passo che non risolve però l’ambiguità di fondo della linea di Trump. Nel resoconto alla stampa della Casa Bianca, Hegseth avrebbe detto a Dong Jun che Washington non intende provocare né un conflitto né un cambio di regime in Cina, ma avrebbe ribadito che la regione dell’Indo-Pacifico rimane il teatro prioritario per gli interessi degli Stati Uniti. La dichiarazione cinese insiste invece sul rispetto degli “interessi vitali” cinesi, con un richiamo esplicito a Taiwan e all’opposizione contro qualunque sostegno all’indipendenza dell’isola. La divergenza resta quindi sostanziale: per la Cina il dialogo serve a vincolare gli Stati Uniti a un riconoscimento delle sue pretese territoriali, mentre per Washington è uno strumento di gestione della competizione. La distanza in questo caso è preoccupante, soprattutto perché resta sempre più complicato interpretare le prossime mosse non solo della Cina, ma anche quelle di Trump.

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