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Gesti di rottura

Nella Francia della crisi permanente è in discussione la pace sociale

Jean-Pierre Darnis

La dissoluzione del 2024 e il voto di fiducia voluto da Bayrou ora hanno in comune un’inequivocabile razionalità: quella di mettere il corpo elettorale e i suoi rappresentanti di fronte alle proprie responsabilità

Dopo l’annunciata caduta del governo francese guidato da François Bayrou, si apre un’ulteriore crisi politica in Francia. Dallo scioglimento del Parlamento voluto dal presidente Emmanuel Macron nel giugno del 2024 in poi, la Francia non riesce a trovare la quadra in un’Assemblea nazionale divisa in tre blocchi (nazionalisti, centristi e sinistra) con un esecutivo stabile. Il sistema elettorale, basato su uno scrutinio uninominale a due turni, ha sempre rappresentato una formidabile leva per costituire maggioranze stabili, anche perché eliminava le piccole formazioni tra il primo e il secondo turno. Questo meccanismo funzionava molto bene nel contesto di una bipolarizzazione destra/sinistra, favorendo anche l’alternanza. Ma l’attuale frammentazione dell’elettorato (tripartizione o addirittura quadripartizione) lo ha inceppato.

 

Però la presidenza della Repubblica non è cambiata: è concepita come l’istituzione più importante e sono le elezioni presidenziali che dovrebbero poi trascinare una maggioranza di sostegno al presidente nelle successive politiche. Ma con la dissoluzione del 2024, osserviamo un ciclo di elezioni politiche con risultati divergenti da quelli delle presidenziali del 2022. L’attuale presidenza della Repubblica ha grandi difficoltà a gestire questa fase, sia perché la logica istituzionale francese non si adatta alla formazione di coalizioni, sia perché Emmanuel Macron non indietreggia nell’esercitare un potere esecutivo onnipresente, spinto dalla sua indole accentratrice, ma anche dall’andamento di un sistema che fatica ad organizzarsi senza una figura apicale. Bayrou si è dimostrato molto più debole del previsto, il che ha poi spinto Macron a tornare in campo. Molti in Francia lamentano il fatto che non esiste una consuetudine di governo in coalizione, deplorando la debole capacità di compromesso. Questa mancanza culturale è anche il frutto di un presidenzialismo che sembra ormai aver raggiunto i suoi limiti.

 

Ci sono poi alcuni aspetti personali rilevanti. La dissoluzione del 2024 e il voto di fiducia voluto da Bayrou ora hanno in comune un’inequivocabile razionalità: quella di mettere il corpo elettorale e i suoi rappresentanti di fronte alle proprie responsabilità. Ma questa scelta è diventata, allo stesso tempo, una forzatura controproducente: premendo il pulsante “o voto o morte”, si sono ogni volta fatti espellere dall’aereo, in seguito a decisioni solitarie che mettono i partiti di fronte al fatto compiuto. Tutto questo rimanda, in ultima analisi, alla responsabilità politica di un presidente francese che è protetto dalla Costituzione in quanto garante, ma che non è minimamente censurabile per i suoi errori da capo di fatto dell’esecutivo.

 

Per uscire da questa impasse ci sono due prospettive: o la parlamentarizzazione dell’attuale sistema francese, con un’evoluzione della Quinta Repubblica verso un modello più vicino a quello italiano; oppure il ritorno a una bipolarizzazione dello scenario politico. Quest’ultimo aspetto potrebbe essere raggiunto, per esempio, se i nazionalisti del Rassemblement national avviassero un percorso politico e istituzionale per sbarazzarsi delle scorie dell’estremismo e apparire come un movimento in linea con le regole della Repubblica. Tale logica potrebbe anche portare alla fine del macronismo politico, con la frammentazione del partito tra destra e sinistra. Lo scenario non è lineare. Già i movimenti sociali previsti sia per il 10 settembre, con l’appello a bloccare tutta la Francia, sia con lo sciopero generale del 18 settembre, puntano a una convergenza delle lotte per cercare di far indietreggiare il sistema. All’interno del palazzo sono iniziate le trattazioni per cercare una nuova formula di governo, nella speranza di poter traghettare l’attuale compagine parlamentare e la presidenza Macron fino alle amministrative del 2026. Ma in caso di rivolta del paese, la necessità di trovare un esito politico alla protesta si farà sentire con forza, con la richiesta di dimissioni da parte di Macron.

 

Nel paese sta crescendo non solo la critica per i tagli alla spesa pubblica, ma soprattutto la richiesta di una maggiore stabilità, necessaria per garantire una continuità nell’andamento economico, che significa anche pace sociale. Il che rende ancora più evidente quanto i gesti di rottura – quelli di Bayrou e Macron – possano apparire distaccati dal paese reale, che assiste con amarezza alla ripetizione delle crisi. Tutto ciò crea una situazione di fragilità politica che contribuisce a nutrire ulteriormente il populismo, con un Rassemblement national che chiede di tornare al voto.

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