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In Norvegia Stoltenberg rilancia i laburisti ma la destra rimonta
Con 87 seggi contro 82, la coalizione rosso-verde mantiene la maggioranza allo Storting. Ma i laburisti di Støre, spinti dall’“effetto Stoltenberg”, dovranno negoziare con verdi e socialisti su petrolio e fisco per governare
Si sono tenute ieri in Norvegia le elezioni parlamentari per rinnovare i 169 seggi dello Storting, il Parlamento unicamerale. La sfida opponeva un blocco rosso-verde di centrosinistra guidato dal Partito Laburista e un fronte di centrodestra che riunisce i Conservatori, il populista Partito del Progresso e alcuni piccoli alleati. I primi exit poll indicavano un leggero vantaggio del centrosinistra, stimato intorno a 88 seggi (la maggioranza assoluta è 85). Alla fine, il blocco laburista insieme ai suoi alleati ha ottenuto 87 seggi, mentre la coalizione dei partiti di destra si è fermata a 82. Si tratta di un margine risicato: un dato in calo rispetto ai cento seggi che i rosso-verdi avevano conquistato nel 2021. Questo risultato riflette anche il forte recupero del centrodestra, trainato dal Partito del Progresso, anti-immigrazione, che da solo si è assicurato 48 seggi, balzando dall’11,6 per cento al 23,9 per cento.
Le preoccupazioni degli elettori per la guerra in Ucraina e per una Russia tornata aggressiva hanno inciso sulla campagna. Un elemento chiave per il blocco rosso-verde è stato il ritorno in politica di Jens Stoltenberg (già premier e segretario generale della Nato), nominato ministro delle Finanze a inizio 2025: il cosiddetto “effetto Stoltenberg” ha dato nuova popolarità ai laburisti, con un aumento di dieci punti percentuali nei sondaggi e un voto più combattuto del previsto.
I temi dominanti della campagna sono stati l’economia e il carovita, la gestione del gigantesco fondo sovrano norvegese (il fondo petrolifero statale da 2.000 miliardi di dollari investito all’estero) e l’energia. Sul fisco le posizioni restano opposte: la sinistra propone un sistema più progressivo con maggiori imposte su patrimoni e profitti, destinando le risorse alla transizione ecologica (incluso un freno a nuove esplorazioni di petrolio e gas). La destra, invece, promette tagli fiscali generalizzati – per esempio l’abolizione o riduzione della contestata tassa patrimoniale – e incoraggia maggiori estrazioni di petrolio e gas per sfruttare i giacimenti nazionali.
In gioco nelle elezioni era anche il futuro dell’industria energetica norvegese, che ha sostituito Gazprom come principale fornitore di gas in Europa dopo l’invasione russa dell’Ucraina nel 2022. Il ruolo politico della Norvegia è destinato a crescere ulteriormente poiché l’Unione europea prevede di eliminare gradualmente il gas russo entro il 2027. Il governo di Oslo, membro della Nato, non fa parte dell’Ue ma aderisce al Mercato unico europeo tramite lo Spazio Economico Europeo. Tuttavia, alcuni alleati di Støre, leader del Partito Laburista e premier dal 2021, vogliono progressivamente eliminare l’esplorazione petrolifera, mentre i laburisti restano favorevoli alla prosecuzione delle trivellazioni che hanno reso il Paese così prospero. In questo scenario, Støre potrebbe essere costretto a scendere a compromessi con i suoi alleati verdi e socialisti, che spingono a favore di una transizione ecologica più sostenibile, per ottenere il loro supporto e far passare dossier cruciali come la legge di bilancio. È plausibile che servano settimane per chiudere una coalizione e, anche con una maggioranza, i laburisti dovranno sanare le divergenze con i partiti alleati su politica petrolifera e investimenti del fondo sovrano norvegese.