In Thailandia inizia il nuovo “Regno” di Anutin, il populista

Massimo Morello

Dopo la destituzione della prima ministra Paetongtarn Shinawatra e l’ennesimo colpo di scena nella saga politica di Bangkok, Anutin Charnvirakul conquista il premierato grazie all’alleanza a sorpresa con il People’s Party. Un gioco di intrighi, tradimenti e promesse di riforma che sembra uscito dal romanzo dei "Tre Regni"

Uno scenario da “Tre Regni”. Così il quotidiano thailandese The Nation ha definito la situazione politica nel Regno di Thailandia. Il riferimento è al periodo della storia cinese caratterizzato dalle lotte per la supremazia. Un periodo di conflitti e signori della guerra, di intrighi, alleanze e tradimenti, tiranni ed eroi divenuto trama letteraria ben nota in tutta l’Asia.

Eroi a parte, in Thailandia la trama continua a replicarsi in un susseguirsi di colpi di scena. L’ultimo, almeno per ora, è la nomina a primo ministro di Anutin Charnvirakul, 58 anni, leader del Bhumjaithai (Orgoglioso d’essere Thai), partito populista. In questo caso Anutin, che poteva raccogliere solo i 69 voti del suo partito più quelli di altri partiti minori, ha potuto contare sui 143 del People’s Party, il maggior partito d’opposizione, per ottenere la maggioranza in Parlamento. Con quest’operazione, Anutin, già noto per le sue doti transazionali, dimostrate nei cambi di fronte individuali e del suo partito tra schieramenti opposti, ha compiuto il suo capolavoro. Difficile immaginare, infatti, un partito più diverso dal suo del People’s Party, che in pochi anni ha conquistato la maggioranza di voti nel paese, ma continua a essere oggetto di un ostracismo istituzionale e giudiziario super partes. Anutin è riuscito a ottenere il voto del People’s Party, che ha comunque scelto di restare alla guida dell’opposizione, solo garantendo un rapido scioglimento del Parlamento, nuove elezioni e l’avvio di una discussione per le modifiche costituzionali.

Questo nuovo capitolo della versione thailandese dei tre regni è iniziato il 29 agosto, quando la Corte costituzionale ha deposto dalla carica la premier Paetongtarn Shinawatra per gravi “violazioni etiche”, confermando una sentenza del primo luglio. In quell’occasione lo stesso Bhumjaithai aveva abbandonato la coalizione formata con il Pheu Thai, il partito “di famiglia” della Shinawatra, figlia di Thaksin Shinawatra, l’uomo al centro della politica thai degli ultimi trent’anni, un tycoon che al tempo venne accostato a Silvio Berlusconi. La crisi era stata innescata dalla diffusione di una telefonata tra Paetongtarn e un vecchio amico e sodale di Thaksin, l’ex premier cambogiano Hun Sen. Lo scopo della chiacchierata, sostiene la Shinawatra, era il tentativo di risolvere la contesa di confine tra Thailandia e Cambogia. In quella conversazione, però, si era comportata come una ragazzina che si rivolge a un vecchio amico del padre, uno “zio”, come lo aveva chiamato e, cosa ancor più grave, aveva addossato la responsabilità degli incidenti al comandante delle forze thai.

In un paese dal fortissimo orgoglio nazionale, il comportamento di Paetongtarn ha suscitato sdegno e scandalo pressoché unanime, il che giustifica le motivazioni “etiche” della Corte suprema, che questa volta non ha dovuto ricorrere ad artifizi legali per opporsi a Thaksin, al suo partito o ai suoi discendenti. Per cercare di limitari i danni, Paetongtarn aveva provveduto a un rimpasto di governo, passando la carica pro tempore al suo ministro della difesa Phumtham Wechayachai e riservandosi la carica di ministro della Cultura in modo di restare nell’esecutivo anche dopo essere stata destituita. Ma la sentenza del 29 agosto ha vanificato questo tentativo. Quindi, seguendo la regia di Thaksin, Wechayachai ha inviato una lettera alla casa reale chiedendo di sciogliere il Parlamento e indire nuove elezioni, ma la risposta è stata negativa e Wechayachai rischia addirittura l’incriminazione per aver coinvolto il re nelle questioni politiche. Al Pheu Thai non è restata altra scelta che annunciare la candidatura a premier di Chaikasem Nitisiri ex procuratore generale, figura che poteva essere gradita anche al People’s Party, ormai divenuto il kingmaker. Un calcolo fatto senza tener conto che in quel partito è ancora troppo cocente il tradimento del Pheu Thai, che aveva preferito abbandonare la coalizione elettorale formata nel 2023 in cambio del premierato.

Nel frattempo, il giorno prima delle votazioni in Parlamento, Thaksin ha preso il volo a bordo del suo jet privato ed è atterrato a Dubai, dove ha trascorso la maggior parte degli ultimi quindici anni nell’esilio per sfuggire alle condanne per abuso di potere e conflitto d’interessi. Dopo la nomina di sua figlia a premier era riuscito a ottenere il perdono reale, peccato però che nei prossini giorni la Corte suprema debba stabilire se il tempo trascorso nella sezione vip di un ospedale di Bangkok sia da considerare valido ai fini dalla pena che doveva comunque scontare.

Secondo molti osservatori ormai Thaksin dovrebbe essere destinato a uscire dalla scena della saga thailandese. In attesa di scoprire se sarà così, è certo che Anutin, non farà sentire la sua mancanza. Il nuovo premier, che non ha mai nascosto la sua ambizione di diventare tale, sembra avere tutte le caratteristiche da protagonista. E’ stato lui, ad esempio, ministro della Salute durante l’emergenza Covid, a dichiarare che parte della responsabilità era da attribuire ai farang, gli stranieri, in quanto sporchi. E’ stato lui a organizzare la campagna per la liberalizzazione della cannabis. Sempre lui è divenuto la figura di riferimento per i realisti ultraconservatori, il che fa prevedere interessanti sviluppi nei rapporti con il People’s Party che è invece considerato una minaccia alla monarchia. Forse Anutin confida nell’aiuto degli spiriti, considerando che è un accanito collezionista di amuleti e talismani.

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