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Il banco di prova

Pil fermo e “deficit zero” in bilico. Il clima elettorale pesa sull'economia dell'Argentina

Luciano Capone

Il veto di Milei sull’aumento delle pensioni regge, ma l’opposizione vince sulla spesa per gli invalidi. La resa dei conti è rinviata al voto di midterm di ottobre

E’ un periodo complicato per Javier Milei: ha subìto la prima pesante sconfitta politica in Parlamento e l’economia dà segni di stancamento, ma i consensi degli argentini secondo i sondaggi si mantengono elevati. Al termine di una lunga e tesa discussione alla Camera dei deputati, l’opposizione è riuscita a ottenere i due terzi dei voti necessari a rigettare il veto presidenziale su una legge di emergenza sulla disabilità. Il veto di Milei, invece, ha retto sull’altra legge – molto più costosa – di aumento delle pensioni. Si tratta di due argomenti molto sentiti in Argentina, perché l’inflazione negli ultimi due anni ha eroso le prestazioni reali a favore dei disabili e l’aggiustamento fiscale del nuovo presidente libertario si è in buona parte scaricato sui pensionati. Ma in gioco c’è molto di più: il superavit fiscale, l’àncora del suo programma di stabilizzazione macroeconomica.

Milei aveva ereditato un paese in dissesto: inflazione oltre il 200 per cento, deficit di bilancio prossimo al 5 per cento, banca centrale con riserve negative, economia in recessione e povertà in ascesa. In pochi mesi, prevalentemente tagliando la spesa pubblica del 30 per cento, ha portato il bilancio in avanzo, ha fatto crollare l’inflazione al 36 per cento, rimbalzare rapidamente il pil e  ridotto notevolmente la povertà. Il costo sociale però si è sentito, soprattutto in alcune categorie. E così in Parlamento, dove Milei è in netta minoranza, le opposizioni hanno presentato leggi di aumento della spesa sociale che sono molto popolari. Per i peronisti è la risposta alla “crudeltà” di Milei, per il presidente è un attentato alla pietra angolare del fragile piano di stabilizzazione: se salta l’equilibrio fiscale, rischia di saltare tutto. E pertanto ha posto il veto, una facoltà prevista dalla Costituzione, che può essere ribaltato con un voto dei due terzi del Parlamento. 

La legge a favore degli invalidi che alla fine è passata ha un costo gestibile, tra lo 0,2 e lo 0,5 per cento del pil. Quella a favore dei pensionati, su cui invece il veto ha retto, sarebbe costata circa 2 punti di pil, bruciando non solo il superavit  ma anche l’avanzo primario: per un paese come l’Argentina, che non ha accesso ai mercati a causa dei ripetuti default passati, avrebbe significato finanziamento monetario e quindi ritorno dell’inflazione. Già l’anno scorso, nel momento più difficile dell’economia argentina,  le opposizioni tentarono un blitz per l’aumento delle pensioni ma Milei impose il veto nonostante i sondaggi all’epoca fossero a picco: “Il deficit zero non si negozia”. Stavolta la diga ha mostrato qualche crepa, complice il clima pre-elettorale. A ottobre in Argentina si terranno le elezioni di mid-term, per il rinnovo di metà della Camera e di un terzo del Senato: sarà un banco di prova per il governo. I mercati attendono di vedere se gli argentini sostengono il piano del presidente e se, quindi, ci sono prospettive per fare investimenti.   Anche perché il partito di Milei, che al momento ha un 15 per cento di deputati, dovrebbe riuscire a superare la soglia del 33 per cento di seggi necessari a sostenere autonomamente, il veto presidenziale.  

Al momento, i sondaggi sono favorevoli per il governo: La libertad avanza, il partito di Milei che di fatto ha inglobato il Pro dell’ex presidente Maurizio Macri, è stimato attorno al 40 per cento, con circa 15 punti di vantaggio sulla coalizione peronista ancora dominata dall’ex presidentessa Cristina Kirchner, che però è agli arresti domiciliari dove sta scontando una condanna definitiva per corruzione.

L’economia però inizia a mostrare segnali di rallentamento, che manifestano l’attesa e l’incertezza pre-elettorale. Sul fronte valutario ci sono state delle tensioni, con un deprezzamento del peso rispetto al dollaro del 15 per cento, anche per alcune  scelte discutibili di politica monetaria che la banca centrale ha cercando di riparare alzando notevolmente i tassi. L’aspetto positivo è che questa svalutazione non si è traslata ai prezzi: l’inflazione, negli ultimi tre mesi, si è mantenuta tra l’1,5 e l’1,9 mensile (miglior dato da sette anni). Ma l’attività economia si è fermata. Dopo una forte crescita del primo trimestre, con un tasso annualizzato superiore al 6 per cento, a giugno il pil è diminuito dello 0,7 per cento rispetto al mese precedente (sebbene sia +6,5 per cento rispetto all’anno precedente) e attualmente è praticamente fermo rispetto al mese di febbraio. Verosimilmente anche il terzo trimestre sarà di stagnazione, in attesa del responso elettorale. Solo da ottobre l’economia dovrebbe ripartire, ma solo nel caso in cui gli argentini daranno fiducia al presidente e il piano di stabilizzazione e riforme riceverà un nuovo impulso. In caso contrario, per l’Argentina il finale sarà il solito: una nuova crisi.
 

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  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali