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la visita ufficiale

La censura di Xi e l'esempio del Tibet

Giulia Pompili

Quanto è difficile raccontare la Cina, tra intimidazioni e omertà. Promoter del turismo e influencer rieducati anche per un’intervista sbagliata

Ieri il leader cinese Xi Jinping è stato in visita ufficiale in Tibet, la regione autonoma che nella progressiva cancellazione della sua identità in Cina si chiama Xizang, e ha parlato dell’importanza di armonizzare la cultura, di sottomettere il buddismo tibetano alle “caratteristiche cinesi”, e di favorire così la stabilità della regione, forse una delle più distanti dalla leadership di Pechino. Xi era stato in Tibet anche nel 2021, al settantesimo anniversario di quella che a Pechino chiamano “la liberazione del Xizang”. La visita di due giorni che si è conclusa ieri, invece, serviva a mostrare la presenza del massimo rappresentante del Partito comunista cinese al cinquantesimo anniversario dalla “fondazione della regione autonoma”, nei mesi in cui tutta la stampa di regime sta cercando di far passare l’idea che il successore del Dalai Lama lo deciderà il Partito, e non l’attuale Dalai Lama Tenzin Gyatso, sin dal 1959 in esilio in India. La causa tibetana è scomparsa dalle prime pagine dei giornali occidentali – era lì fino agli anni Novanta, con testimonial molto famosi – perché ora gli influencer sono reclutati da Pechino per andare a fare i tour in Tibet – pardon, in Xizang – e raccontare le loro esperienze fantastiche, diffuse online dalle testate con cui la Cina ha accordi di pubblicazione. Ieri, per esempio, in Italia parlavano di “boom dell’economia culturale e turistica nel Xizang” l’Agenzia Nova e il sito L’Antidiplomatico. Sono bastati pochi anni alla leadership di Xi Jinping per cancellare la repressione brutale e la cancellazione della cultura tibetana dal resto del mondo occidentale. Il metodo lo conosciamo bene.

Non molto tempo fa, questo giornale aveva organizzato un’intervista con un noto influencer cinese legato alla promozione del turismo, di cui preferiamo omettere il nome per ragioni di sicurezza. Dopo aver controllato tramite un’app di intelligenza artificiale quale posizione sulla Cina e sulla Russia avesse il Foglio, ha cancellato l’intervista spiegando di essere nei guai, e di non voler fare la fine “di un suo collega” che si era fatto “trenta giorni di campo di rieducazione, con i profili social cancellati”, per un’intervista con un media straniero non gradita al Partito. Lo stesso influencer era stato intervistato da altre testate italiane

Il sistema di censura e manipolazione della realtà nel racconto della Cina è ben dettagliato nell’ultimo rapporto del Foreign Correspondents’ Club of China, l’organizzazione dei corrispondenti stranieri a Pechino non a caso dichiarata illegale dal governo cinese nel 2018. Secondo il documento pubblicato l’altro ieri dal Fccc, nel 2024 i corrispondenti stranieri hanno trovato sempre più difficile lavorare in Cina. Le famose “linee rosse” – cioè i temi considerati troppo sensibili per poter essere trattati – si sono moltiplicate: non solo Xinjiang, Tibet, Hong Kong e Xi Jinping, ma anche l’economia, che fino a poco tempo fa era considerata un terreno neutro. Se si prova a scrivere di disoccupazione, dazi, politiche industriali o condizioni dei lavoratori può aprire a diversi problemi per i giornalisti stranieri, e anche temi apparentemente innocui come Halloween o la parità di genere, si legge nel rapporto, possono diventare causa di minacce e intimidazioni. La conseguenza è che i corrispondenti internazionali dalla Cina finiscono per trattare solo argomenti positivi. 

Nel documento si legge anche che “dopo una fase di sollievo post-Covid, con maggior libertà di movimento nel 2023, la situazione è tornata a peggiorare”: nel 2024 sono cresciuti i casi di minacce legali, spesso usate per scoraggiare inchieste non gradite dai funzionari di Partito locali. A rischio sono soprattutto gli assistenti cinesi che collaborano con i media stranieri, sottoposti a intimidazioni, richiami ufficiali e persino pressioni sulle famiglie. In generale, il cittadino cinese che lavora con la stampa straniera poco gradita al Partito è definito un traditore. Allo stesso tempo, le redazioni occidentali sono sempre sotto organico: “Sul fronte dei visti”, si legge nel documento, “c’è un piccolo miglioramento: i tempi d’attesa si sono ridotti. Ma un quarto delle redazioni resta sotto organico per problemi legati ai permessi. In alcuni casi, i visti o l’accesso sono stati negati a reporter di testate considerate sgradite dalle autorità”. Anche chi riesce in qualche modo a lavorare in Cina, lavora sotto costante controllo e difficilmente riesce a fare bene il proprio lavoro. Un giornalista americano ha detto agli autori del rapporto che “la maggior parte delle persone non vede alcun vantaggio nel parlare con la stampa straniera di qualsiasi argomento”, e in generale viene disincentivato il dialogo con i media occidentali. 

Le regioni “sensibili” come appunto il Tibet, lo Xinjiang, ma anche le aree di confine con Corea del nord, la Russia e la Mongolia sono pressoché off limits e chi prova a recarsi lì viene spesso seguito, ostacolato o direttamente espulso – a meno che non sia “gradito” e accompagnato. Il 93 per cento dei corrispondenti che ha provato a recarsi in aree tibetane ha dichiarato di aver avuto problemi con le autorità, e il 77 per cento di chi ha viaggiato nello Xinjiang ha incontrato ostacoli. Nell’autunno del 2024, “dopo l’attacco con un’auto a Zhuhai che ha causato almeno 35 morti e 43 feriti, i giornalisti stranieri non hanno potuto avvicinarsi alla scena”. Il 58 per cento dei reporter intervistati ha dichiarato di essere stato seguito in modo evidente da polizia o agenti in borghese. 

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  • Giulia Pompili
  • È nata il 4 luglio. Giornalista del Foglio da più di un decennio, scrive soprattutto di Asia orientale, di Giappone e Coree, di Cina e dei suoi rapporti con il resto del mondo, ma anche di sicurezza, Difesa e politica internazionale. È autrice della newsletter settimanale Katane, la prima in italiano sull’area dell’Indo-Pacifico, e ha scritto tre libri: "Sotto lo stesso cielo. Giappone, Taiwan e Corea, i rivali di Pechino che stanno facendo grande l'Asia", “Al cuore dell’Italia. Come Russia e Cina stanno cercando di conquistare il paese” con Valerio Valentini (entrambi per Mondadori), e “Belli da morire. Il lato oscuro del K-pop” (Rizzoli Lizard). È terzo dan di kendo.