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negli Stati Uniti
Trump è in Alaska con Putin, ma con la testa è a Washington. In cerca di un successo per i Maga
Dai dazi alla legge di bilancio, dal caso Epstein all’immigrazione, sono tanti i dossier su cui la base trumpiana è insolitamente inquieta e poco in sintonia con il presidente. I fantasmi di cui deve liberarsi ad Anchorage
Chiuso dentro la vasta base militare Elmendorf-Richardson, a nord di Anchorage, Donald Trump trascorre il Ferragosto fisicamente in Alaska, ma con la testa a Washington. Dal faccia a faccia con Vladimir Putin il presidente americano ha bisogno di portare a casa un successo, non tanto per il popolo ucraino quanto per tener buono un altro popolo: quello Maga, che da qualche settimana mugugna. Dai dazi alla legge di bilancio, dal caso Epstein all’immigrazione, sono tanti i dossier su cui la base trumpiana è insolitamente inquieta e poco in sintonia con il presidente. Ottenere un accordo di qualche tipo con Putin, soprattutto se prevede un cessate il fuoco, permetterebbe a Trump di rafforzare la propria autocandidatura al Nobel per la Pace – spudoratamente rilanciata anche dai suoi profili social – e mettere davanti ai suoi elettori un primo risultato di politica estera in linea con le promesse dalla campagna che lo ha riportato alla Casa Bianca. L’ala più radicale del mondo Maga attende una vera svolta isolazionista in chiave “America First”, vuole tagliare qualsiasi spesa destinata all’Ucraina e alla Nato, non è per niente contenta dei rapporti con il governo Netanyahu ed è rimasta spiazzata dalla decisione di sganciare le bombe del Pentagono sugli impianti nucleari in Iran. Dalla deputata della Georgia Marjorie Taylor Greene, che chiede un taglio netto a tutte le spese americane all’estero, all’anchorman Tucker Carlson, voce amata dal popolo Maga che non perde occasione per criticare Israele e lodare Putin, sono tante le anime della destra americana che aspettano una svolta in Alaska.
Per questo Trump con la testa sarà lontano migliaia di chilometri da Anchorage. Stavolta deve dimostrare di essere il dealmaker su cui ha sempre costruito la sua immagine e deve cancellare i dubbi che si è lasciato alle spalle dopo tanti mesi di trattativa sui dazi, dove è sembrato cedere di fronte a chi gli rispondeva con forza: è il caso della Cina, che ha appena ottenuto una nuova proroga all’entrata in vigore delle nuove tassazioni. Trump ha bisogno di un grande successo da diffondere sui social anche per spostare l’attenzione da quello che sta discutendo una Corte d’appello federale (e forse tra breve la stessa Corte Suprema), che potrebbe confermare ciò che ha già stabilito a maggio la Court of International Trade. E cioè che nel decidere i dazi, la Casa Bianca ha utilizzato impropriamente una legge emergenziale del 1977 che non sarebbe applicabile in questo caso. Le conseguenze di una sentenza in questo senso sarebbero enormi, perché tutti i dazi decisi fino a oggi diverrebbero illegali e l’America dovrebbe non solo ritirarli, ma anche pagare miliardi di danni. Trump lo sa, perché da giorni ripete sui social che i giudici potrebbero scatenare una nuova “Grande Depressione”. Sarebbe un disastro d’immagine per la Casa Bianca ed è un ulteriore motivo per cui al presidente servono successi in politica estera da poter mostrare alla base. L’economia per ora è forte e Wall Street tiene bene, ma ci sono molti segnali di allarme per l’Amministrazione, come la ripresa dei costi dell’energia elettrica per i consumatori.
O la debolezza dei dati sull’occupazione: un terreno dove Trump si è mosso con una scelta che testimonia la sua preoccupazione, mettendo alla guida del Bureau of Labor Statistics un economista fedele alla linea Maga, per cercare di avere numeri più “amichevoli”. Dei tanti motivi per cui Trump ha bisogno di tornare da Anchorage con un successo, forse nessuno è più delicato del caso di Jeffrey Epstein, che continua a non voler uscire dai radar nonostante il presidente faccia di tutto – incluso mandare la Guarda Nazionale a pattugliare le strade di Washington – pur di spostare il discorso e l’attenzione dei media altrove. La vicenda del finanziere pedofilo morto in carcere e i suoi legami del passato con Trump non svaniscono e anzi sono un altro dei temi su cui i fedelissimi come Carlson o Greene stanno dando voce a un ampio malcontento della base. Epstein, più di Zelensky, è lo spettro di cui Trump ha bisogno di liberarsi ad Anchorage.