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lo spirito di unità europea
Come essere moderatamente soddisfatti anche della nostra zoppicante Europa
Forse è il momento di considerare un nuovo eurocentrismo di marginali e di periferici. Che però, tuttavia, riescono a vivere in società un po’ più civili di tante altre
Europa, Europa. Ma che cos’è se non un fenomeno retorico? Lo è dal 1957, quando con il Trattato di Roma furono fondate le istituzioni europee, le cui ragioni e radici esplicite erano il carbone, l’acciaio e l’energia atomica. Oggi c’è qualcuno che in Europa abbia davvero a cuore l’Europa attivamente unita? C’è mai stato un patriottismo europeo? Sembra di no. Né come efficienza e coesione politica, né come ideale continentale in cui credere. Ma se gli europei sono i primi che di fatto non amano l’Europa nella sua unione sovranazionale, che cosa ci si può aspettare dai non europei? Oggi siamo arrivati al minimo di credibilità. La Russia di Putin detesta l’Europa e cerca di intossicarla con le fake news. La Cina è lontana e pensa più all’Asia e all’Oceano Pacifico e alla rivale America che non a quel titubante fantasma che è l’Europa, con cui fare qualche buon affare. Ora l’America di Trump ci disprezza, ci deride e ci evita come temibili, fastidiosi parassiti che hanno sfruttato gli Usa delegando loro una costosa difesa militare.
Ma anche fra europei non ci si ama molto, o si mascherano antipatie e ostilità che sembrano incancellabili. Sarà che questo avviene più fra vicini che fra lontani. Fra vicini si arriva all’odio perché ci si conosce meglio. Guerre secolari tra francesi, tedeschi, spagnoli, italiani, polacchi, russi, austriaci, cechi, ungheresi devono ancora covare nella memoria inconscia dei popoli, sempre affezionati ai propri confini. Abbiamo visto recentemente che cosa è successo nella ex Iugoslavia, quando sloveni, croati, bosniaci, serbi hanno ferocemente scoperto di non essere più connazionali. Ancora più recentemente i sovranisti e i populisti hanno testardamente agito in funzione antieuropea, vestendo abiti di patriottismo autodifensivo e competitivo, usando la sensazione di estraneità e diffidenza che faceva giudicare le istituzioni europee come lontane, poco legittimate, accentrate e malate di burocratismo. L’ideale europeista si è presto rivelato fiacco, più astratto che concretamente attivo e infine, semmai, più culturale e intellettuale che economico e politico. Dopo le due guerre mondiali novecentesche e il loro tragico bilancio, l’idea di unificazione europea si è imposta come uno scopo tanto ineludibile quanto difficile da praticare. I governi nazionali non hanno mai smesso di essere riluttanti al trasferimento di poteri dai singoli stati alla Comunità Europea: e questo più per ragioni populistico-elettorali che ideologiche.
Dopo il 1945, le sovranità nazionali esclusive, in un continente lacerato come l’Europa, non potevano che essere giudicate un rischio e una specie di anacronismo sia morale che politico. Infatti tutti i principali problemi politici, economici e sociali di ogni singola nazione europea non possono essere affrontati che in una dimensione europea, non di conflitto ma di solidarietà e collaborazione. Perciò, retorico è il sovranismo nazionale, mentre molto più concreto e pratico è lo spirito di unità europea.
Dopo la Seconda guerra mondiale in Europa non ci sono stati conflitti armati fra gli stati: i soli due casi sono quello all’interno della ex Iugoslavia e l’invasione bellica della Russia ai danni dell’Ucraina. E’ soprattutto in quest’ultimo caso che l’Europa è apparsa e continua ad apparire goffamente paralizzata, nonché divisa sul da farsi, anche dopo la svolta antieuropea e astensionistica di Trump, che non vuole spendere più un dollaro per risolvere le crisi del Vecchio continente o del mondo.
Il fatto è che sovranismo e populismo non sono fantasmi retorici e basta. Alimentano infatti le nuove destre in tutta Europa, che si schierano in posizione antieuropea più o meno apertamente. Se i popoli nazionali sono delusi da Bruxelles e si sentono traditi dagli apparati istituzionali dell’Europa unita, allora la retorica sovranistico-populista si traduce in successo elettorale e in potere politico. Una Unione Europea debole e confusa ha provocato reazioni che favoriscono i partiti di varia destra, da quella tradizionalista a quella neofascista.
Comunque, visto quello che succede nel mondo, ci sarebbero alcune ragioni per essere moderatamente soddisfatti anche della nostra difettosa e zoppicante Europa. Oggi il più potente e spaventoso capitalismo è quello “comunista” cinese. Ricordo tempi remoti nei quali si poteva credere o sognare che le culture orientali avrebbero aiutato le nostre “controculture” idealistiche e utopistiche a correggere l’idolatria occidentale dello sviluppo economicistico senza progresso morale. Oggi asiatici e arabi ci rincorrono, ci imitano, ci scimmiottano, e soprattutto vogliono superarci. Giappone, Cina, Corea del Sud, Emirati arabi hanno gli stessi difetti e le stesse manie dell’Occidente europeo e americano. L’Europa colonialista del passato ha convertito e derubato, civilizzato e sterminato molti popoli nell’intero mondo, chiamato “terzo mondo”. E’ forse di nuovo il momento di considerare un nostro nuovo eurocentrismo di marginali, di periferici, che però, tuttavia, riescono a vivere in società un po’ più civili di tante altre.
Nel 1980, il più cosmopolita e il meno tedesco degli scrittori e intellettuali tedeschi, Hans Magnus Enzensberger, pubblicò un saggio intitolato Eurocentrismo controvoglia. Dopo aver viaggiato per mezzo mondo nel ventennio precedente, Enzensberger notò e prese sul serio alcune constatazioni elementari, e cioè che dovunque si andasse fuori dall’Europa le hostess servivano “soft drinks americani, petit-four francesi e sigarette inglesi. Sono le merci che dicono la verità: i registratori nei souk di Damasco, gli orologi Seiko nelle vetrine di Pechino, i jeans e gli occhiali da sole, i whisky, i profumi e le auto. Soprattutto le auto. Non c’è fronte di liberazione vittorioso, paese tropicale affamato, dittatura per quanto puritana che se la cavi senza queste merci. Alzacristalli elettrici, aria condizionata, vetri azzurrati, impianto stereo, antifurto centralizzato, finestrini antiproiettile – tutto compreso. Questo sfrenato istinto di imitazione è diffuso in tutto il mondo. I suoi effetti fanno pensare a una forza della natura”.
Ho saputo in questi giorni che un gruppetto di mogli italiane annoiate sono corse a vedere l’ultimo gruppo musicale femminile sudcoreano, che poi per caso ho visto per un paio di minuti anche io in tv. C’era la cantante protagonista accuratamente rifatta e chirurgicamente corretta, biondissima come un’adolescente scandinava. Per quanto controvoglia, meritiamo tuttora, noi europei scontenti, di essere eurocentrici, in Toscana, nel Veneto, sui laghi lombardi, in Bretagna o nelle alpi bavaresi… Non c’è bisogno di andare in Giappone o a Dubai per sapere che in Europa è meglio. Per fortuna l’avanguardia non è più qui. Senza un po’ di passato, il futuro sarebbe inabitabile.