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Realtà e illusioni di Netanyahu sul dopo Hamas

Micol Flammini

Il premier israeliano delinea un piano per il dopoguerra: "Vogliamo consegnare Gaza alle forze arabe che la governeranno correttamente". Ma prima il conflitto va finito e mentre il premier annuncia l’assalto totale, gli israeliani temono che la Striscia diventi il loro Vietnam

Per la prima volta dall’inizio dell’operazione “Spade di ferro”, la prima fase dell’offensiva contro Hamas iniziata subito dopo l’attacco del 7 ottobre, il premier israeliano Benjamin Netanyahu ha accennato un piano per il dopoguerra. Lo ha fatto parlando al mondo e non  ai soli  israeliani, con una intervista rilasciata all’emittente americana Fox News e  trasmessa poche ore  prima dell’inizio della riunione in cui i ministri a Gerusalemme hanno approvato il piano per  occupare militarmente l’intera Striscia, entrare ovunque, a cominciare da Gaza City, inseguire Hamas in ogni tunnel, anche quelli in cui sono tenuti prigionieri gli ostaggi israeliani vivi o sono conservati i cadaveri degli uccisi, che per i terroristi sono comunque merce di scambio. Netanyahu ha detto che Israele conquisterà militarmente Gaza, ne raggiungerà il pieno controllo per distruggere Hamas, creerà un perimetro di sicurezza, ma non rimarrà: “Vogliamo consegnare Gaza alle forze arabe che la governeranno correttamente”. Non ci sarà nessuna annessione, gli israeliani non torneranno nella Striscia, non verrà discussa nessuna legge per tornare alla situazione precedente al 2005, quando il premier Ariel Sharon mandò l’esercito a sgomberare i coloni israeliani che volevano  rimanere con la forza. Il piano voluto dai ministri Bezalel Smotrich e Itamar Ben-Gvir, che in questi mesi hanno sventolato la minaccia di ricreare insediamenti a Gaza, non sarà realizzato. 
Prima che si possa parlare di   dopoguerra però, bisogna mettere fine al conflitto e ieri il primo ministro ha annunciato che Tsahal allargherà le manovre iniziate con l’ultima offensiva “Carri di Gedeone”, spostando la popolazione. Mentre ieri il governo decideva, le famiglie dei cinquanta ostaggi rimasti nella Striscia protestavano accompagnate da un largo numero di cittadini. Fischiavano e urlavano sotto i palazzi delle istituzioni, anche sotto la sede del Likud, il partito del premier, chiedendo di non condannare a morte chi è stato rapito. Hamas ha minacciato di uccidere gli ostaggi se i soldati israeliani si avvicinano ai luoghi della prigionia, in passato lo ha già fatto e non ci sono dubbi che lo ripeterà. L’operazione di occupazione totale durerà mesi, ci vorranno soldati, ci vorranno mezzi. Il primo a non essere convinto della nuova offensiva è il capo di stato maggiore Eyal Zamir, i suoi dubbi riguardano soprattutto la resistenza di un esercito sfiancato da più di un anno e mezzo di combattimenti e la possibilità effettiva di portare Hamas al collasso. La frattura tra l’esercito e il governo è pericolosa, per la società israeliana un generale merita più fiducia di un politico e con le manifestazioni sta dimostrando di considerare la prosecuzione della guerra a Gaza pericolosa per la vita degli ostaggi e della popolazione civile nella Striscia e per l’identità futura  dello stato di Israele. Tra gli analisti militari si è diffuso un paragone: la Striscia rischia di diventare per gli israeliani quello che il Vietnam è stato per gli americani. 

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  • Micol Flammini
  • Micol Flammini è giornalista del Foglio. Scrive di Europa, soprattutto orientale, di Russia, di Israele, di storie, di personaggi, qualche volta di libri, calpestando volentieri il confine tra politica internazionale e letteratura. Ha studiato tra Udine e Cracovia, tra Mosca e Varsavia e si è ritrovata a Roma, un po’ per lavoro, tanto per amore. Nel Foglio cura la rubrica EuPorn, un romanzo a puntate sull'Unione europea, scritto su carta e "a voce". E' autrice del podcast "Diventare Zelensky". In libreria con "La cortina di vetro" (Mondadori)