
Il lupo e i dati
Il guaio di Trump sul lavoro non è nei numeri, ma nel suo rapporto con la realtà
Il presidente americano vuole “persone di fiducia” al Bureau of Labour Statistics. Dietro l’appello alla trasparenza, il tentativo di politicizzare i dati sull’occupazione e screditare chi li produce. Il rischio è che la sfiducia verso l'ufficio (fin qui indipendente) destabilizzi mercati e politica economica
Durante un’intervista televisiva, il direttore del Council of Economic Advisers della Casa Bianca, Kevin Hassett, ha lasciato intendere che Donald Trump vorrebbe persone di sua fiducia anche al Bureau of Labour Statistics (BLS), così che “i numeri del lavoro siano più trasparenti e affidabili”. In realtà, quello che a parole sembra un appello alla trasparenza è nei fatti un tentativo di mettere sotto controllo politico un’istituzione indipendente. Il sospetto di Trump, mai dimostrato, è che i dati vengano manipolati per danneggiarlo.
L’intento vero non è migliorare la qualità delle statistiche, ma controllarle. A riprova, la stessa frase di Hassett sulla necessità di “persone di fiducia” al BLS, come se il rigore metodologico dipendesse dal rapporto personale con il presidente. Peraltro, Trump e i suoi non sono nemmeno allineati: il capo dice che i dati sono truccati, i collaboratori che sono da rivedere. L’obiettivo, però, resta lo stesso: screditare i numeri, insinuare il dubbio, poi sostituire chi li produce.
I pretesti non mancano. Il rapporto sull’occupazione di luglio ha deluso le aspettative: solo 73.000 posti in più, e soprattutto una drastica revisione al ribasso dei due mesi precedenti (meno 258.000 posti in totale). Ma le revisioni dei dati sono parte normale della statistica: a maggio 2025, per esempio, erano stati stimati 19.000 posti, a giugno solo 14.000. Sono numeri bassi, ma non truccati. Né inediti. Lo scorso anno, in piena campagna elettorale, fu rivisto al ribasso di 800.000 posti il conteggio di un intero anno. Si gridò al complotto democratico, salvo poi scoprire che l’errore era stato corretto a meno di 600.000. Tutto secondo prassi.
Naturalmente, problemi nel sistema statistico esistono. Il BLS raccoglie ogni mese circa 90.000 dati di prezzo su 200 categorie, grazie a centinaia di rilevatori attivi in 75 aree urbane. Ma la quota di dati “stimati”, anziché effettivamente rilevati, è salita sopra il 30%, secondo l’economista Torsten Slok. Colpa anche dei tagli al personale pubblico. In più, il tasso di risposta ai sondaggi mensili (Establishment Survey e Household Survey) è in calo: meno imprese e famiglie rispondono, quindi più margine di errore.
C’è poi il controverso “modello Birth/Death”, usato per stimare l’effetto netto della nascita e chiusura di aziende. Il modello è necessario, ma meno affidabile nei momenti di transizione, come le riprese economiche o le fasi pre-recessive. In sintesi: il sistema ha difetti, ma è noto, trasparente, perfettibile. E funziona, se lo si lascia lavorare.
Trump, invece, sembra volersi ispirare più a certe autocrazie che a una democrazia occidentale. La sua ossessione per l’immagine personale – “vogliono farmi fare una brutta figura” – lo porta a delegittimare chiunque fornisca dati negativi. Se anche il BLS cadesse sotto il suo controllo, cosa farebbe con le rilevazioni private che dovessero contraddirlo? Le metterebbe fuorilegge, in stile cinese o russo?
Il punto è che le statistiche economiche, come tutte le statistiche, non sono verità assolute ma strumenti scientifici. Si correggono, si discutono, si migliorano. Ma non si piegano al volere del potere senza perdere credibilità. E se cade la fiducia nei dati, non regge nemmeno il mercato. E’ un processo lento, poi improvviso.
Trump vuole che i tassi d’interesse scendano sempre: se l’economia cresce, vanno tagliati; se rallenta, vanno tagliati lo stesso. L’importante è ridurre il costo del debito. Ma i mercati, a differenza dei sondaggi, non si possono forzare. Né si fanno intimidire da cowboy col cappello giallo. Anche se quel cowboy siede alla Casa Bianca.