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Le dichiarazioni

Ancora accuse di "russofobia". Le parole dell'ambasciatore russo Paramonov

Redazione

Alexei Paramonov, ambasciatore russo in Italia, ha detto che le élite italiane sono affette da due virus, "la russofobia e l'ucrofilia". E ha aggiunto: "Non possiamo fidarci degli interlocutori italiani"

Russofobia”, il termine tanto caro al Cremlino. Dopo che Vladimir Putin ha accusato Sergio Mattarella di essere “russofobo”, l'ambasciatore russo in Italia, Alexei Paramonov, ha utilizzato la stessa parola per descrivere la classe dirigente italiana. In un'intervista al quotidiano russo Izvesia, l'ambasciatore ha parlato di “due nuovi virus" che hanno penetrato le élite italiane al posto del Covid, "la russofobia e l'ucrofilia, che acquisiscono forme particolarmente aggressive”. Questo perché, spiega l'ambasciatore, la leadership italiana è ora “ermeticamente chiusa” a ogni canale di comunicazione ufficiale con la Russia, mentre rimane il mantra della “fedeltà alla Nato” e la “disponibilità a mettere in atto tutto ciò che viene da questa organizzazione aggressiva e distruttiva”.

 

Paramonov ha aggiunto che dalle autorità italiane arrivano costantemente rassicurazioni sul fatto che l'Italia non è in guerra con la Russia, che non invierà militari sul territorio ucraino e che non consentirà l'utilizzo degli armamenti forniti per colpire la Federazione Russa, ma “non possiamo fidarci in nessun caso degli interlocutori italiani”.

 

L'ambasciatore era stato, tra l'altro, convocato alla Farnesina dal ministro Tajani proprio perché desse spiegazioni sull'attacco russo a Mattarella: “Sorprende”, dichiara Paramonov, “la rezione così accesa dell'Italia alla comparsa di una sezione sul sito web del ministero degli Esteri russo intitolata a esempi di linguaggio d'odio contro la Russia”.

 

Nell'intervista l'ambasciatore fa poi riferimento a Sandro Pertini: “il presidente socialista”, lodato da Paramonov perché quando in Italia si discuteva dell'adesione alla Nato "si oppose categoricamente". Era il 1949, e il Partito socialista, che ancora non aveva operato lo strappo dal Pci di Togliatti – sarebbe arrivato nel '56, dopo la repressione sovietica in Ungheria – si attestava ancora su posizioni filosovietiche e antiamericane.