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energia nucleare
La Spagna, dopo il blackout, mette retromarcia sul no all'atomo
Allungare la vita alle centrali esistenti. Il governo ha aperto un tavolo sulle condizioni per un allungamento delle licenze operative. L’esito del negoziato segnerà profondamente la politica energetica spagnola, ma è di grande interesse anche per l'Italia
Contrordine: la Spagna non intende più abbandonare il nucleare ma allungare la vita alle centrali esistenti. O, almeno, è pronta a negoziare con gli operatori per farlo. Il premier socialista Pedro Sánchez, all’epoca del suo primo governo, nel 2019 decise lo spegnimento dei sette reattori esistenti, dislocati in cinque siti, che alimentano circa un quinto del fabbisogno elettrico del paese. Nel dicembre 2023 ottenne l’approvazione di un piano che collocava il phase-out tra il 2027 e il 2035. Negli ultimi mesi, però, le richieste di ripensamenti si sono intensificate, anche per l’impatto del blackout del 28 aprile, a torto o a ragione attribuito da molti alle fonti rinnovabili e all’incapacità della Terna spagnola, Red Eléctrica de España, di integrarle nel sistema.
In sintesi: il governo ha aperto un tavolo sulle condizioni per un allungamento delle licenze operative. Secondo il quotidiano El País, ci sarebbe stato uno scambio di lettere tra i vertici delle società Endesa e Iberdrola, responsabili degli impianti, e la ministra della Transizione ecologica, Sara Aagesen. Le posizioni sono ancora lontane ma è evidente che tutti puntano a un accordo. Il governo avrebbe posto tre condizioni: il rispetto dei requisiti di sicurezza stabiliti dal Consiglio di sicurezza nucleare, la garanzia delle forniture in modo da non creare grane a Red Eléctrica, e l’assenza di costi per i consumatori. Quest’ultimo punto è il più delicato: infatti, le imprese sostengono di rispettare già oggi le richieste del governo, e anzi di essere ingiustamente tartassate.
Nel mirino c’è soprattutto l’imposta statale sul combustibile esaurito. Secondo le aziende è superflua perché il fondo per il trattamento dei rifiuti e lo smantellamento degli impianti è già alimentato da un altro balzello a loro carico, attraverso cui finanziano Enresa (l’equivalente spagnola della nostra Sogin). All’accusa che l’imposta sul combustibile esaurito, introdotta nel 2012, ne sarebbe una duplicazione, Aagesen replica che è necessaria a compensare le eventuali esternalità ambientali e i rischi potenziali. A questa si aggiungono le ecotasse regionali, che non hanno motivazione specifica se non generare gettito a favore delle autonomie locali, che in alcuni casi avrebbero difficoltà a trovare un rimpiazzo: si tratta di qualcosa di simile alle compensazioni territoriali discusse mercoledì in sede di Conferenza unificata con riferimento alla legge delega del ministro dell’Ambiente Gilberto Pichetto Fratin sul nucleare. Senza l’eliminazione di questi tributi, dicono Iberdrola ed Endesa (di cui Enel controlla il 70 per cento), il nucleare spagnolo non è economicamente sostenibile.
Le aziende aggiungono che, oltre a non generare costi, le centrali esistenti contribuiscono a calmierare i prezzi: secondo uno studio redatto per loro conto dalla società di consulenza PwC, l’abbandono del nucleare potrebbe far lievitare le bollette di tra i 13 e i 37 euro/MWh, con un aumento delle emissioni di CO2 fino a 21 milioni di tonnellate (contro i 221 milioni complessivamente rilasciati in atmosfera nel 2023). E’ logico che le imprese stiano tirando la corda dal proprio lato, anche approfittando del crescente favore che trovano nell’opinione pubblica. Ma è pure significativo che il governo, inizialmente determinato a chiudere questo dossier, si stia mostrando sempre più dialogante. Del resto, il 12 febbraio il Parlamento spagnolo aveva approvato con 171 voti a favore, 164 contrari e quattordici astensioni una mozione che impegnava la Moncloa ad aggiustare la rotta. La mozione, proposta dal Partito popolare, ha ottenuto l’ovvio appoggio di Vox e di altre forze di opposizione, ma non sarebbe passata senza l’astensione degli indipendentisti catalani di Junts ed Erc, che fanno parte della maggioranza. La loro posizione si spiega con i timori per la chiusura degli impianti di Ascó e Vandellós, che forniscono il 60 per cento dell’energia alla regione. L’esito del negoziato segnerà profondamente la politica energetica spagnola, ma è di grande interesse anche per l’Italia, che sta per discutere il disegno di legge delega per riportare l’atomo nel nostro paese. Costruire nuovi impianti e mantenere in vita quelli esistenti sono attività profondamente diverse, con costi incomparabili, ma lo spostamento di Madrid potrebbe segnare un cambiamento significativo negli equilibri europei sul tema.