La lotta nel fango dei social fra Trump e Medvedev

Micol Flammini

Il presidente americano e l'ex capo del Cremlino si insultano e minacciano su X e Truth, i loro campi di battaglia. Nella sua ultima risposta, il capo della Casa Bianca ha annunciato "il posizionamento di due sottomarini nucleari nel caso in cui queste dichiarazioni insensate e provocatorie fossero più di questo"

Quando il Cremlino tace, Dmitri Medvedev si scatena. L’ex presidente, ex premier, attuale vicepresidente del Consiglio di sicurezza della Federazione russa, è stato uno dei pochi funzionari di Mosca a rispondere all’ultimatum lanciato da Donald Trump a Vladimir Putin per concordare un cessate il fuoco con l’Ucraina entro l’8 agosto. Il presidente americano aveva dato al capo del Cremlino fino al 2 settembre, poi ha deciso di tagliare i tempi, vedendo la metodicità degli attacchi contro i civili ucraini, ogni notte bersagliati da missili e droni. Il Cremlino, alle minacce di Trump, aveva reagito con il silenzio, con un laconico “prendiamo nota” e continuando i bombardamenti. Soltanto Medvedev è andato oltre e ha scritto: “Trump ha lanciato un ultimatum al Cremlino. Il mondo si è messo a tremare in attesa delle conseguenze. L’Europa belligerante è rimasta delusa. Alla Russia non è importato”. Per Trump, che ha notato Medvedev con grande ritardo, la questione è diventata personale. Il capo della Casa Bianca vuole dimostrare di essere in grado di concludere accordi e si è accorto che l’ostacolo non è l’Ucraina ma la Russia. Non vuole vedere la sua immagine internazionale svilita dal Cremlino e ha iniziato a reagire nel suo campo di battaglia: la piattaforma Truth. “Non mi interessa cosa farà l’India con la Russia. Possono distruggere insieme le loro economie in rovina, per quel che mi riguarda – ha scritto il presidente americano – Russia e Stati Uniti non fanno praticamente affari insieme. Continuiamo così e diciamo a Medvedev, l’ex presidente fallito della Russia, che si crede ancora presidente, di stare attento a quello che dice. Sta entrando in un territorio pericoloso”. E’ arrivata la risposta di Medvedev: “Se poche parole di un ex presidente russo possono provocare una reazione così nervosa da parte del potente presidente degli Stati Uniti, allora la Russia ha pienamente ragione e deve continuare per la sua strada”. Medvedev ha concluso il suo messaggio con un emoji che ride a crepapelle, ma prima ha minacciato Trump suggerendogli di “riguardare i suoi film preferiti sugli zombie e ricordarsi quanto possa essere pericolosa la mano morta che non esiste in natura”. “Mano morta” in epoca sovietica era il termine usato per identificare un dispositivo per lanciare un attacco nucleare anche senza una leadership in vita. Per i russi il presidente americano è un personaggio ridicolo, lo hanno corteggiato finché serviva a disarmare Kyiv e adesso invece lo mettono alla berlina, come fecero  tempo fa  mostrando le immagini di sua moglie Melania senza veli sul Primo canale della televisione. Dopo l'ultimo messaggio di Medvedev, Trump ha volito l'ultima parola che potrebbe generare ancora altre risposte da parte dell'ex presidente russo. Il capo della Casa Bianca ha annunciato su Truth che "sulla base delle dichiarazioni altamente provocatorie dell'ex Presidente russo Dmitry Medvedev, ora Vicepresidente del Consiglio di Sicurezza della Federazione russa, ho ordinato il posizionamento di due sottomarini nucleari nelle regioni appropriate, nel caso in cui queste dichiarazioni insensate e provocatorie fossero più di questo. Le parole sono molto importanti e possono spesso portare a conseguenze indesiderate; spero che questo non sia uno di quei casi. Grazie per l'attenzione!"

 

Al di fuori della lotta sui social,  esiste la vera guerra sulla quale i russi non hanno cambiato opinione e ieri sul sito dell’agenzia Ria Novosti è apparso un articolo dal titolo esplicito: “Non esiste altra opzione: nessuno deve rimanere vivo in Ucraina”. All’inizio della guerra, dopo la scoperta del massacro di Bucha, sempre su Ria Novosti venne pubblicato un articolo in cui si consigliava cosa fare con l’Ucraina e l’autore suggeriva una soluzione: cancellarla. Sono trascorsi tre anni, Mosca non ha cambiato idea.

 

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  • Micol Flammini
  • Micol Flammini è giornalista del Foglio. Scrive di Europa, soprattutto orientale, di Russia, di Israele, di storie, di personaggi, qualche volta di libri, calpestando volentieri il confine tra politica internazionale e letteratura. Ha studiato tra Udine e Cracovia, tra Mosca e Varsavia e si è ritrovata a Roma, un po’ per lavoro, tanto per amore. Nel Foglio cura la rubrica EuPorn, un romanzo a puntate sull'Unione europea, scritto su carta e "a voce". E' autrice del podcast "Diventare Zelensky". In libreria con "La cortina di vetro" (Mondadori)