
viaggio in medio oriente
L'ultimo tentativo di Witkoff per un accordo tra Israele e Hamas
Gli Stati Uniti prendono le distanze da chi riconosce la Palestina, sanzionano l'Autorità nazionale palestinese e cambiano i toni sulla crisi umanitaria. Il governo israeliano e Tsahal valutano due opzioni: una è militare, l'altra è politica ed è più rischiosa
Il tempo non c’è e il quartier generale delle famiglie degli ostaggi già lo scorso anno aveva adottato come simbolo una clessidra. La battaglia per la liberazione dei rapiti è scandita dal concetto della fretta, uno degli slogan gridati dalla piazza israeliana per chiedere l’accordo era akhshav, adesso, immediatamente. Ormai non ha più senso gridare akhshav, la prigionia degli ostaggi dura da seicentosessantacinque giorni. Sono poche le opzioni rimaste a Israele e l’inviato speciale americano per il medio oriente, Steve Witkoff, è andato dal primo ministro Benjamin Netanyahu per vagliarle tutte.
Hamas rifiuta un accordo, le condizioni umanitarie nella Striscia di Gaza non migliorano, quello che entra con i camion carichi di aiuti umanitari spesso non riesce a raggiungere i punti di ritiro e viene depredato durante il percorso. Più Gaza esplode, più Hamas trova la forza di rifiutare un accordo. L’intenzione di Witkoff in Israele è proprio quella di capire come migliorare le condizioni dei civili nella Striscia – andrà a Gaza a visitare alcuni punti di ritiro della Gaza humanitarian foundation, l’organizzazione americana che si è occupata della distribuzione nell’ultimo periodo – e come fare uscire gli ostaggi senza un’intesa. Per gli americani era arrivato il momento di andare a parlare con gli israeliani prima delle decisioni estreme: da quando alcuni paesi occidentali si sono uniti alla Francia che promette di riconoscere lo stato di Palestina a settembre, Israele si è sentito sempre più isolato.
C’è unità nello spettro politico israeliano, dal governo all’opposizione agguerrita, nel dire che non è questo il momento di parlare di soluzione a due stati, soprattutto fissando come data il prossimo settembre indipendentemente dai risvolti, dalla presenza di Hamas a Gaza, dalla liberazione degli ostaggi. Gli Stati Uniti ieri, facendo da contraltare al movimento diplomatico occidentale per fare pressione su Israele, hanno invece deciso di mostrare un sostegno coriaceo. Il dipartimento di stato americano ha imposto sanzioni su alcuni funzionari dell’Autorità nazionale palestinese (Anp), per il denaro pagato alle famiglie dei terroristi, l’incitamento al terrorismo nelle scuole e l’abuso della giustizia internazionale. Gli Stati Uniti contano sull’Anp per il futuro di Gaza, ma vogliono mostrare che non è ammissibile una gestione della Striscia uguale a quella di Ramallah. Anche il presidente americano Donald Trump ha parlato della situazione in medio oriente.
Nei giorni scorsi aveva criticato Netanyahu per aver negato che i palestinesi soffrono la fame, ma ieri ha detto che la crisi umanitaria finirà quando Hamas libererà gli ostaggi e si arrenderà e ha minacciato il Canada di bloccare l’accordo sui dazi se procederà con il riconoscimento dello stato palestinese. “Gli Stati Uniti hanno interessi e una visione diversa del medio oriente”, dice Jacob Dayan, ex console generale israeliano a Los Angeles, consigliere diplomatico a Washington. “Gli europei stanno indurendo la politica israeliana, gli americani si sentono invece coinvolti nei negoziati e vogliono un evento che possa cambiare il medio oriente, Questo evento passa dalla fine della guerra e stanno studiando le possibilità”.
Gli israeliani, dice Dayan, hanno capito che non possono più vivere vicino a Gaza senza una zona cuscinetto e ovunque, lungo i loro confini stanno procedendo con la creazione di aree di sicurezza, anche in Libano e in Siria hanno fatto lo stesso, per questo non è pensabile un completo ritiro di Tsahal dalla Striscia. La missione di Witkoff non è soltanto per mostrare solidarietà a Israele, ma anche per capire le prospettive reali di un accordo e cosa gli israeliani sono ancora disposti a cedere: “La situazione non può continuare così e una delle poche opzioni che Israele ha è di inasprire l’offensiva militare per far cedere Hamas”, dice Dayan. L’altra riguarda invece l’annessione di parti della Striscia, ed è molto più irreversibile di un’offensiva militare.