Keir Starmer e Emmanuel Macron (LaPresse)

I confini palestinesi

Starmer, Macron e i sauditi. I limiti dell'asse che vuole riconoscere la Palestina

Mauro Zanon

Italia e Germania non seguono la Francia. Gli americani disertano la conferenza di New York 

Parigi. Si è svolta lunedì e martedì a New York la conferenza dell’Onu co-presieduta da Francia e Arabia Saudita con l’obiettivo di creare un consenso internazionale sulla soluzione a due stati per il conflitto nella Striscia di Gaza. Prevista inizialmente il 18 giugno, la conferenza era stata annullata in seguito alle operazioni israeliane contro gli impianti nucleari iraniani. “Questo rinvio non mette in alcun modo in discussione la nostra determinazione a procedere verso l’attuazione della soluzione a due stati, qualunque siano le circostanze”, promise il presidente della Repubblica francese, Emmanuel Macron, dopo la cancellazione della conferenza. Giovedì scorso, su X, l’inquilino dell’Eliseo ha confermato che la Francia sarà il primo paese del G7 a riconoscere la Palestina come stato indipendente e che l’annuncio solenne verrà fatto a settembre in occasione della sessione annuale dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite.

Ieri, mentre il suo ministro degli Esteri, David Lammy, era a New York per la conferenza, il primo ministro britannico, Keir Starmer, ha annunciato che anche il Regno Unito riconoscerà lo stato di Palestina, riservandosi tuttavia la possibilità di cambiare posizione qualora Israele rispettasse alcune condizioni. “Il Regno Unito riconoscerà lo stato di Palestina a settembre, prima dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite, a meno che il governo israeliano non compia passi sostanziali per porre fine alla terribile situazione di Gaza” o che Israele “accetti un cessate il fuoco, si impegni a non annettere la Cisgiordania e accetti un processo di pace a lungo termine finalizzato alla soluzione dei due stati”,  ha dichiarato un portavoce di Downing Street al termine del Consiglio dei ministri riunito ieri da Starmer, nonostante la pausa estiva, per discutere un nuovo piano per la pace in medio oriente.

“L’iniziativa congiunta di Francia e Arabia Saudita ha il merito di offrire una prospettiva diplomatica per risolvere il conflitto israelo-palestinese, nel tentativo di uscire dalla spirale mortifera della guerra a Gaza”, dice al Foglio Julien Abiramia, giornalista esperto di medio oriente del Courrier international, prima di aggiungere: “La stampa e l’opinione pubblica palestinesi considerano questa mossa diplomatica un sostegno gradito alla loro causa, anche se oggi, sul campo, siamo ben lontani dalla creazione di uno stato palestinese – in quale territorio e con che dirigenti? L’iniziativa sarà considerata puramente simbolica se non sarà seguita dai fatti. E senza il sostegno degli Stati Uniti e l’assenso di Israele, è difficile immaginare come possano esserci passi avanti concreti”. Israele e Stati Uniti, che già la scorsa settimana avevano criticato duramente la mossa di Macron, hanno infatti disertato la conferenza di New York, che ha riunito più di centoventi paesi.

“L’inazione non è un’opzione”, ha dichiarato lunedì il ministro degli Esteri francese, Jean-Noël Barrot, sottolineando che “non c’è alternativa” alla soluzione a due stati, “l’unica che permette di rispondere alle legittime aspirazioni di israeliani e palestinesi di vivere in pace e in sicurezza”. Al suo fianco il ministro degli Esteri saudita, il principe Faisal bin Farhan, ha dichiarato che “uno stato palestinese indipendente è la chiave della pace nella regione” e permetterebbe “la normalizzazione dei rapporti con Israele”. L’iniziativa diplomatica franco-saudita è stata denunciata con virulenza dal dipartimento di stato americano, che l’ha definita “improduttiva e inopportuna”, una “trovata pubblicitaria” mentre sono in corso “delicati sforzi diplomatici per porre fine al conflitto”. Da parte sua, Israele ha accusato Parigi e Riad di “rafforzare un’illusione”. “Creare uno stato palestinese oggi significa creare uno stato di Hamas. Uno stato jihadista. Non accadrà”, ha attaccato ieri il ministro degli Esteri israeliano, Gideon Sa’ar. Barrot aveva annunciato che “altri paesi occidentali” avrebbero seguito le orme della Francia. Dopo la prima giornata, solo il Lussemburgo aveva manifestato la sua intenzione di riconoscere la Palestina. Ieri l’annuncio di Starmer ha “salvato” la conferenza, ma siamo ancora lontani, per ora, dalla “dinamica collettiva” auspicata dalla diplomazia francese.

“Annunciando il riconoscimento di uno stato palestinese, Macron ha cercato di coinvolgere i suoi partner europei. Ma per il momento, la Germania non prende in considerazione ‘a breve termine’ l’ipotesi di un riconoscimento e l’Italia insiste sulla necessità di una pace negoziata tra israeliani e palestinesi. Se l’iniziativa di Macron viene giudicata in base alla sua capacità di coinvolgere altri paesi europei e di creare uno slancio, potrebbe essere considerata un fallimento. Tuttavia, da qui a settembre le cose potrebbero cambiare”, dice al Foglio Julien Abiramia. Per ora il grande alleato della Francia nella questione palestinese è l’Arabia Saudita. E la sintonia tra i due paesi si estende a tutto il medio oriente. “C’è chiaramente un’identità di vedute in medio oriente tra la Francia, la cui voce è particolarmente apprezzata in medio oriente, e l’Arabia Saudita, peso massimo nella regione, che rifiuta qualsiasi normalizzazione con Israele senza uno stato palestinese”, spiega al Foglio l’esperto del Courrier international, prima di aggiungere: “Inoltre tutti e due  i paesi sostengono il nuovo presidente siriano Ahmad al Sharaa e il nuovo governo libanese, dopo la caduta del regime di Bashar el Assad e l’indebolimento di Hezbollah, entrambi alleati dell’Iran”. 

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