(foto EPA)

L'editoriale dell'elefantino

Al riequilibrio profetico di Trump occorre rispondere non con gli strepiti ma con magnifici scatti di reni

Giuliano Ferrara

La parola populista ha un peso. Invece della lagna e della crocifissione a von der Leyen si risponda a un leader di tendenza autocratica con pazienti tessiture e con un incremento della competitività delle merci sottoposte a dazio

Quella dei dazi è anche una guerra culturale. Gli americani vengono da Marte, e pagano la sicurezza e consumano molto risparmiando poco, gli europei vengono da Venere e Dioniso-Apollo, consumano la sicurezza ed esportano alla grande le loro meraviglie, non solo mozzarelle olio d’oliva e parmigiano, mentre risparmiano, spendono parecchio in welfare e principio di precauzione, e assorbono meno, a parte i servizi determinati dalla tecnologia. Da questo punto di vista, con la sua tracotanza da golfista baro, Trump questa guerra culturale la sta vincendo. Anche se i centri di studio economici più importanti dicono poi che sul piano economico l’Unione europea perderà lo 0,1 per cento del pil mentre gli Stati Uniti molleranno nella crescita per via dei dazi lo 0,8 per cento. La spinta della presidenza fondata sulla trattativa dura e continua e bipolare e buffonesca e cinica e arrogante e balorda risulta perdente in Ucraina, dove l’amico autocrate che non sta al gioco transactional fa quello che gli pare, cioè il peggio. Più apprezzabili i risultati, dal punto di osservazione nazionale americano, della transazione daziaria, che comunque dovrebbe in parte compensare la dilatazione mostruosa del bilancio e del deficit americani e la riduzione del prelievo fiscale.

 

La parola populista, quando è mantenuta da chi si candida a governare e anzi rilanciata tra gli sberleffi con un profilo profetico e identitario da “Usa contro il resto del mondo”, come avvenne nel famigerato Liberation Day, ha un suo peso. Con le decisioni sulle nuove ragioni di scambio delle merci, dell’energia, degli investimenti e della sicurezza, accettate con comprensibile riluttanza e qualche confusione dall’Europa sovranazionale a mercato unico, Trump ha impostato quel che si dice un riequilibrio. Lo si può irridere quanto si voglia, e fare cattivo viso al suo buon gioco, ma la cosa è da registrare, come questo giornale predica in virtuale isolamento, senza troppe lagne. Il malumore delle cosiddette cancellerie e degli osservatori qualificati in Europa è altrettanto penoso, allo stato delle cose e con riserva di vedere come andrà a finire nei fatti, del crasso buonumore da scommettitore all’ippodromo di un presidente che annuncia di avere centrato la Tris. Con la differenza che la spensieratezza un po’ carogna e un po’ idiota di Trump ottiene un riscontro di non belligeranza sui mercati finanziari, sempre tenuti in conto in queste faccende, e a ragion veduta, mentre gli alti lai e il cassandrismo di alcuni dei partner dell’Unione europea sembrano un riflesso di antiche pigrizie e un rimpianto per una situazione grassoccia, embonpoint, che prima o poi doveva finire con una cura dimagrante. Come si era visto dalla nuova bilancia delle spese militari comuni nella Nato, che era il riflesso di un’epoca tramontata.

 

Di Trump sono inaccettabili l’autoritarismo ai limiti della Costituzione, la pretesa di dilatare all’inverosimile l’idea di una struttura unitaria e onnipotente dell’esecutivo, la strumentalizzazione di temi come l’immigrazione, l’ambientalismo, e persino l’antisemitismo, per la sua inautentica guerra al wokismo e alla divisione dei poteri. Di Trump è inaccettabile quasi tutto, a partire da come si comporta e da cosa esce dalla sua boccuccia.

Ma alla sua idea del riequilibrio, per quanto fondata su elementi controversi, bisogna rispondere probabilmente con uno scatto di reni e con pazienti tessiture e con un incremento della competitività delle merci sottoposte a dazio, e magari con un aumento dei redditi e dei consumi interni al mercato unico, oltre che con l’apertura massima a nuovi mercati di sbocco, non con lo strepito e il casino che segue l’accordo scozzese, compresa la crocifissione della von der Leyen e della Commissione di Bruxelles che ha dovuto tenere conto di ventisette interessi nazionali diversi per discutere con un leader unico, di tendenza autocratica e profetica.

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  • Giuliano Ferrara Fondatore
  • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.