
Ricostruzione
L'origine della fame a Gaza
La Striscia è a rischio, Hamas usa il cibo come arma e Israele non governa il caos. “Non perdono Israele, ma Hamas è all’origine di tutto”, racconta al Foglio Mohammed
Il caos ha divorato tutto nella Striscia di Gaza. Keshet 12, uno dei canali israeliani più seguiti, questa settimana ha mandato in onda un servizio sulla mancanza di cibo dentro la Striscia: ha mostrato le persone in fila, gli assalti ai camion, la paura. In studio era stato invitato il giornalista Ohad Hamo, che si è sempre occupato di questioni palestinesi. Hamo ha molti contatti dentro Gaza, conosce la Striscia e, preso anche dall’emozione, ha raccontato: “Parlo ogni giorno con chi vive lì. E posso dirti cosa mi riferiscono al telefono. Non mangiano per lunghi periodi… quando possono mettere qualcosa sotto i denti, l’offerta è scarsa, come un po’ di lenticchie per giorni interi. Raccontano di debolezza, vertigini, perdita di decine di chili. E’ ovvio che la responsabilità è di Hamas, ma Israele non è immune da colpe. In questo senso: anche se dentro Gaza entra cibo sufficiente, e questo è quello che Israele dice, ed è giusto, il problema sta nella distribuzione. Ha fallito, non funziona. Per accedere ai punti di ritiro del cibo devi essere un uomo, un uomo robusto pronto ad andare a combattere per il cibo. E comunque potresti non riuscirci”. Hamo spiega che per chi vive al nord della Striscia, quindi lontano dai punti di distribuzione della Gaza Humanitarian Foundation (Ghf), la situazione è ancora peggiore e i prezzi nei mercati sono insostenibili: “Per ventiquattr’ore al giorno, gli abitanti di Gaza hanno un solo pensiero: trovare il cibo”. A Tel Aviv sono state organizzate proteste: i cittadini hanno sfilato reggendo le foto di gazawi. Per buona parte degli israeliani, abituati alle bombe e consapevoli della potenza del conflitto al di là del confine, la carestia che può colpire i gazawi pone un problema morale insostenibile. E’ una guerra contro il tempo per liberare gli ostaggi e ottenere un cessate il fuoco che eviti anche la fame nella Striscia.
Le organizzazioni umanitarie avevano parlato di carestia lo scorso anno. Le previsioni erano errate, Israele aveva mostrato la quantità di aiuti che entrano e di fatto aveva avuto ragione: i valichi funzionavano, le ispezioni al confine erano lente, ma permettevano un passaggio regolare dei beni. Tutto ciò che però accadeva una volta che i camion di aiuti umanitari erano passati nella parte di Gaza non era più responsabilità degli israeliani e spesso veniva gestito da Hamas che li usava per minacciare la popolazione. Gli aiuti umanitari si sono trasformati nel più grande canale di finanziamento di Hamas: con il cibo i miliziani tiranneggiano i civili. Come hanno raccontato al Foglio alcuni abitanti della Striscia, i terroristi rivendevano i beni di prima necessità con la scritta “not for sale” (non in vendita).
Oppure i miliziani davano il cibo gratuitamente a chi era disposto a mandare un figlio a rimpinguare i loro ranghi, decimate dai combattimenti contro Tsahal. Togliere a Hamas il potere di usare gli aiuti voleva dire togliergli la possibilità di arruolare nuovi miliziani e privarli dei finanziamenti. Durante l’ultimo cessate il fuoco tra Israele e Hamas, a febbraio, era iniziato un movimento spontaneo di cittadini coraggiosi in varie città della Striscia, che scendevano in strada chiedendo a Hamas di andarsene: il motivo scatenante dei piccoli cortei era stato proprio l’abuso sugli aiuti umanitari.
“All’origine di tutto c’è Hamas”, racconta al Foglio Mohammed, che si raccomanda più volte di non usare il suo vero nome. “Ritengo responsabile anche Israele e anche la Gaza Humanitarian Foundation, non hanno risolto nulla e noi siamo in pericolo”. Mohammed dice che vede la sofferenza attorno a lui, che si sente debole, personalmente non conosce nessuno morto di fame, ma si rende conto che la situazione è insostenibile. “Se non moriamo ora, moriremo presto. Hamas ha saccheggiato gli aiuti, li ha rivenduti al mercato nero a prezzi inimmaginabili, come quaranta dollari per un pacco di farina. Nessuno se lo può permettere”. Quando Israele ha introdotto con l’aiuto degli Stati Uniti la Gaza Humanitarian Foundation (Ghf), l’organizzazione che da maggio distribuisce i beni necessari ai cittadini con l’aiuto di contractor americani in quattro punti nel sud della Striscia, lo ha fatto per togliere a Hamas la possibilità di mettere le mani sugli aiuti. L’Onu si è rifiutata di collaborare con la Ghf. A quel punto, la guerra del gruppo contro Tsahal si è trasformata in guerriglia contro gli aiuti umanitari: i miliziani hanno prima minacciato chiunque decidesse di collaborare con la Ghf, poi hanno scelto di sabotare gli aiuti e di punire non soltanto i collaboratori. “La Ghf è stata caotica sin dall’inizio. Non c’era nessuna lista con i nomi delle famiglie, membri della stessa famiglia si presentano più volte. Quattro punti di distribuzione non sono niente, si crea il caos tra gente affamata. Si rompono gli scatoloni e ci si accalca per rubare quello che è caduto. In mezzo si aggirano uomini armati, di Hamas o altre bande, lo fanno per sabotare. I soldati israeliani, a quel punto, sparano e non gli importa chi colpiscono”. Dalla Ghf fanno sapere che, nonostante le condizioni, la distribuzione va avanti. “La scorsa settimana Hamas ha fermato un gruppo di cittadini che si era presentato ai centri della Ghf, li ha fatti spogliare e costretti a camminare al sole”.
Non ci sono dati, ci sono i racconti negli ospedali, le testimonianze come quelle di Mohammed, ma la paura di carestia dentro Gaza è concreta e sarebbe senza precedenti, perché, contrariamente ad altre crisi alimentari, dentro la Striscia il cibo è arrivato, ma è diventato irraggiungibile o inaccessibile. Hamas è accusata di aver generato il problema. Israele non ha saputo governare il caos e non ha trovato un’alternativa valida. Salman al Daya, ex rettore dell’Università islamica di Gaza, ha rilasciato una dichiarazione dal titolo: “Non siamo una mandria di buoi sulla vostra terra”. Il professore accusa Hamas di aver preso in ostaggio due milioni di persone per servire i propri interessi. Oltre agli ostaggi di Gaza, ci sono ostaggi israeliani. “Non perdono Israele – conclude Mohammed, che ha anche partecipato alle proteste e racconta che ancora nelle strade si formano cortei o picchetti, anche di donne – ma tutto è partito da Hamas”.
Il gruppo “ha trasformato la fame in un’arma e la sopravvivenza in un crimine”, scrive su X l’attivista Hamza Howidy, nato a Gaza, perseguitato da Hamas, oggi rifugiato in Germania.


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