La protesta fiera di Kyiv porta Zelensky a un cenno di riconciliazione

Micol Flammini

La nuova piazza nella capitale, gli slogan, la paura della talpa russa e la risposta del presidente. L'Ucraina ha rotto il tabù dell'unità: così sono partite le manifestazioni

La piazza oggi è diversa: non più quella dell’Indipendenza tagliata a metà dalla via Khreshchatyk, con ancora addosso i segni della Rivoluzione della dignità del 2014.  Il Maidan, la piazza chiamata “piazza”, come se non ce ne potessero più essere altre in Ucraina dopo le proteste di undici anni fa che portarono alla fuga del presidente sostenuto dal Cremlino, Viktor Yanukovich, e alle elezioni vinte da Petro Poroshenko, primo capo di stato dell’Ucraina in guerra, non è il palco delle nuove proteste. Ieri, per la seconda sera di seguito, a Kyiv, la protesta è stata organizzata in piazza Ivan Franko, la più vicina al palazzo del presidente Volodymyr Zelensky inaccessibile senza un permesso speciale dal 24 febbraio del 2022. Da piazza Ivan Franko, però, si può gridare: veto na zakon (veto sulla legge), nazad v Evropu (ritorniamo all’Europa), Yermak na khuj (Yermak – capo di gabinetto di Zelensky – vattene a fare in culo). Ed è impossibile che il presidente non senta e non capisca che gli ucraini chiedono un passo indietro sulla legge che limita l’indipendenza delle due principali agenzie anticorruzione: l’Ufficio nazionale anticorruzione (Nabu) e l’Ufficio del procuratore specializzato anticorruzione (Sapo), che hanno agito in modo indipendente fino a martedì, quando è stata approvata dal Parlamento una legge nata su iniziativa del presidente. Da tre anni a questa parte, protestare in Ucraina è un dilemma esistenziale, finora i cittadini hanno sempre messo in secondo piano le loro  critiche al presidente, consapevoli che mostrare le crepe interne  sarebbe stato un favore al Cremlino. Hanno visto in passato come Mosca abbia strumentalizzato le loro proteste, ne ha fatto un’arma. Gli ucraini hanno aspettato,  pensando che sarebbe arrivato il momento di discutere politicamente. L’attesa è finita quando il presidente ha toccato due agenzie che sono due simboli, una garanzia di un futuro   europeo dell’Ucraina. “Il sistema di liberalizzazione dei visti con i paesi europei era legato al Nabu e al Sapo, questa è una spaccatura che Zelensky ha imposto e  non potevano rimanere a casa anche questa volta”, racconta Bohdan, un ventenne di Kyiv che del Maidan ha soltanto un ricordo, ma sa bene quanto sia fondativo della nuova Ucraina. “Se una legge del genere fosse stata votata  in tempo di pace, in piazza ci sarebbero molte più persone. Siamo tanti, ma c’è chi ha paura dei bombardamenti e chi invece crede sia ancora presto per protestare. Io ho capito che era giusto quando ho ascoltato i soldati al fronte”. Il primo a chiamare la protesta è stato Dmytro Koziatynskyi, un veterano. Dal suo post è partito tutto: “Amici, riuniamoci e difendiamo ciò che abbiamo costruito nell’ultimo decennio. Vediamoci alle 20 nella piazza del teatro Ivan Franko. E’ il luogo più vicino all’ufficio del presidente. Spero che ci vedranno dalle loro finestre”. Il veterano ha chiesto ai politici di rimanere a casa e ai cittadini di presentarsi senza simboli: sono arrivati con dei pezzi di scatoloni come cartelloni, ognuno con la sua scritta: “Non torneremo ai tempi di Yanukovich”, “La corruzione fa male come la Russia”. I soldati hanno chiaro per cosa combattono e, ricevuto il segnale, i cittadini hanno capito che  sarebbe stato giusto rompere l’unità, bloccare la procrastinazione e protestare per la prima volta tutti insieme dall’aggressione del 2022. “C’erano state altre piccole manifestazioni – spiega Yulja, anche lei tra i manifestanti –  Ma questa è la prima volta che il discorso diventa politico”. Sembra assurdo che  Zelensky, sempre capace di percepire l’umore della sua popolazione,   di misurarne paure ed entusiasmi, non abbia capito cosa rappresenta l’anticorruzione per gli ucraini: “Lui e i suoi non sono gente di Euromaidan, non conoscono quella piazza, sono venuti dopo, da un mondo estraneo. Anche se si è presentato come un cavaliere contro i corrotti, non ha capito cosa gli ucraini sono disposti a fare per difendere il loro futuro”, dice Yulja che in Piazza Indipendenza c’era. Gli ucraini hanno rotto un tabù che si erano imposti da soli, che spesso aveva portato i giornalisti a non criticare il presidente, che aveva prescritto una forma di protezione costante sul discorso pubblico per paura che la Russia potesse approfittarne. E ha già iniziato: alle immagini di una democrazia viva, ha sovrapposto quelle di un paese soggiogato. Chi è sceso in piazza non si sente così: “Siamo arrabbiati, ma sappiamo dove siamo e cosa stiamo facendo. Conosciamo il rischio. Abbiamo una democrazia ed è questo che accade nelle democrazie: si protesta. I russi non lo fanno”, dice Bohdan. 


Queste proteste fanno paura, il pericolo russo è concreto. Kyrylo Budanov, capo dell’intelligence militare Hur ha scritto: “La nazione perde se lacerata da contraddizioni interne. Abbiamo un nemico comune e la soluzione delle controversie dovrebbe avvenire attraverso un dialogo aperto … Sono sicuro che l’Ucraina sarà salvata da un esercito e dalle istituzioni forti. Dobbiamo mostrare saggezza e responsabilità”. Ieri sera il presidente Zelensky ha per la prima volta parlato agli ucraini dell’anticorruzione, ha promesso un nuovo disegno di legge con la collaborazione del Nabu e del Sapo. E’ un primo cenno di riconciliazione.  
 

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  • Micol Flammini
  • Micol Flammini è giornalista del Foglio. Scrive di Europa, soprattutto orientale, di Russia, di Israele, di storie, di personaggi, qualche volta di libri, calpestando volentieri il confine tra politica internazionale e letteratura. Ha studiato tra Udine e Cracovia, tra Mosca e Varsavia e si è ritrovata a Roma, un po’ per lavoro, tanto per amore. Nel Foglio cura la rubrica EuPorn, un romanzo a puntate sull'Unione europea, scritto su carta e "a voce". E' autrice del podcast "Diventare Zelensky". In libreria con "La cortina di vetro" (Mondadori)