la difesa di Kyiv

Trump manderà armi all'Ucraina. Il costo di un sistema decisionale tanto disfunzionale

Paola Peduzzi

Il presidente americano e “l’insensato” Putin, la proposta tedesca e l’ordine unilaterale del Pentagono

“Dobbiamo mandare più armi all’Ucraina, armi di difesa, gli ucraini devono difendersi. Vengono colpiti in modo molto forte, dobbiamo inviare più armi”, ha detto il presidente americano, Donald Trump, lunedì sera, incontrando i giornalisti assieme al premier israeliano Benjamin Netanyahu. Poco dopo il Pentagono ha rilasciato un comunicato: “Su indicazione del presidente Trump, il dipartimento della Difesa invierà armi di difesa aggiuntive all’Ucraina in modo che gli ucraini possano difendersi mentre noi lavoriamo per garantire una pace sicura”. La settimana scorsa, lo stesso Pentagono aveva sospeso l’invio di armi all’Ucraina, quelle in transito in Polonia erano state bloccate.

 

La decisione era stata presa in seguito a una revisione degli arsenali americani che aveva mostrato una scarsità di vari armamenti: la sicurezza dell’America viene prima, per questo i nostri arsenali non devono rimanere sguarniti, aveva detto il Pentagono. La notizia era di quelle catastrofiche: gli attacchi dei russi sulle città ucraine si sono intensificati, ora vengono lanciati missili e droni contro i civili quasi ogni notte in un numero che lo scorso anno era più o meno quello relativo a un mese. Le difese aeree dell’Ucraina si sono indebolite e i civili uccisi aumentano, senza le forniture militari americane la situazione diventa molto critica per Kyiv. Fin da subito, molti ucraini avevano detto di prendere la questione con cautela, perché la decisione del Pentagono non era stata condivisa né con Kyiv né con gli alleati europei e soprattutto Trump non l’aveva mai confermata esplicitamente. Però i resoconti di molti media erano univoci: le armi americane sono ferme in Polonia.

 

Giovedì scorso, il presidente americano ha avuto una conversazione telefonica con Vladimir Putin e ne è uscito “molto deluso”, come ha ribadito ieri durante il consiglio dei ministri: “Ci arrivano molte stronzate da Putin, se volete sapere la verità. E’ sempre molto cordiale, ma alla fine risulta insensato”. Il giorno successivo Trump ha parlato con il presidente ucraino, Volodymyr Zelensky, e secondo quanto ha scritto ieri il Wall Street Journal, “gli ha detto che non era responsabile della sospensione delle forniture a Kyiv. Trump ha detto di aver chiesto il mese scorso una revisione al Pentagono delle munizioni di riserva dopo l’attacco americano ai siti nucleari iraniani, ma non ha ordinato al dipartimento di congelare la fornitura delle armi”. 

 

Sul sito Axios, Barak Ravid e Marc Caputo scrivono che Trump ha promesso di inviare dieci Patriot all’Ucraina, un numero inferiore rispetto a quello che era in transito prima della sospensione perché, secondo uno scoop del Guardian, in questo momento gli Stati Uniti hanno a disposizione soltanto il 25 per cento dei Patriot che secondo il Pentagono servono al paese per garantire la propria sicurezza. Ma Trump si è impegnato con Zelensky a trovare altri Patriot, con tutta probabilità tramite la Germania. Il cancelliere tedesco, Friedrich Merz, aveva telefonato a Trump giovedì chiedendogli di far partire per l’Ucraina i Patriot fermi in Polonia e gli aveva detto di essere pronto ad acquistarne altri per inviarli poi agli ucraini. Secondo tre fonti sentite da Axios, Trump avrebbe chiesto alla Germania di mandare i suoi Patriot all’Ucraina: non è stato raggiunto un accordo, ma la discussione sta andando avanti – i tedeschi dicono di aver già mandato molti dei propri Patriot a Kyiv, in termini relativi più di quelli inviati dall’America. Il capo del Pentagono, Pete Hegseth, ha individuato delle batterie di Patriot in Germania e in Grecia e preferirebbe finanziare l’invio di queste perché, appunto, le riserve si stanno riducendo troppo.  

 

Ci sono quindi ancora due questioni aperte. La prima e la più urgente riguarda la difesa dell’Ucraina che dipende da queste forniture: alla Conferenza per la ricostruzione dell’Ucraina che si apre domani a Roma, l’inviato americano Keith Kellogg e gli ucraini ne discuteranno nel dettaglio. La seconda riguarda il sistema decisionale americano: Tom Wright, che lavora al Brookings Foreign Policy ed è stato consigliere per la Sicurezza nazionale dell’Amministrazione Biden, spiega la “decisione unilaterale” del Pentagono sulla sospensione delle armi all’Ucraina come la dimostrazione di una disfunzione della catena di comando che riguarda tutta l’Amministrazione Trump, in particolare da quando è stato liquidato gran parte del team del Consiglio per la sicurezza nazionale (a partire dal capo, Mike Waltz).

 

Ogni agenzia, ha scritto Wright sull’Atlantic, dal Pentagono al dipartimento del Tesoro alla Cia, stabilisce una propria linea di politica estera sulla base dell’interpretazione delle parole di Trump e dei suoi post su Truth. Su X, Wright scrive: “Sono sicuro che il Pentagono abbia sinceramente pensato che la sospensione unilaterale dell’assistenza all’Ucraina fosse coerente con l’idea ‘America first’, ma non era quel che Trump voleva e così c’è stata questa virata pubblica”. Questo meccanismo disfunzionale sta diventando letale per l’Ucraina, visto che non soltanto le armi arrivano a singhiozzo, ma l’Amministrazione Trump non ha nemmeno introdotto nessuna nuova sanzione alla Russia e non ha aggiornato quelle esistenti.  Putin ha imparato ad aggirarle: la sua escalation si fonda anche su questo. 
 

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  • Paola Peduzzi
  • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d'amore - corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d'amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l'Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell'Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi