Ansa

il negoziato

La linea soft di Bruxelles sui dazi di Trump è un autogol clamoroso

David Carretta

Rifiutandosi di entrare in un rapporto di forza, come chiedevano Francia e Danimarca, von der Leyen ha permesso all’Amministrazione americana di aumentare ulteriormente la pressione con minacce e ricatti. E ora il rischio è pagare un prezzo ancora più alto

Un brutto accordo o un mancato accordo ancora più brutto? E’ questa l’alternativa di fronte alla quale si trovano gli Stati membri dell’Unione europea, dopo che la Commissione di Ursula von der Leyen non è riuscita a strappare concessioni maggiori dall’Amministrazione Trump per mettere fine alla guerra dei dazi lanciata dal presidente americano. I negoziati sono in dirittura d’arrivo. Ma un accordo ancora non c’è, nemmeno di principio. Diverse fonti danno conto di una situazione di “grande incertezza”. Domani scade il termine del 9 luglio fissato da Donald Trump, oltre il quale aveva minacciato di imporre dazi del 50 per cento sulle importazioni dall’Ue.

Ieri il presidente americano ha iniziato a inviare le lettere con i dazi che applicherà agli altri paesi, se non accetteranno un accordo alle sue condizioni: 25 per cento per il Giappone, 25 per cento per la Corea del sud. E se i due paesi oseranno replicare con contromisure commerciali, Trump aggiungerà un 25 per cento in più rispetto ai loro dazi. Lo stesso trattamento potrebbe essere riservato all’Ue. In serata la lettera di Trump non era ancora arrivata alla Commissione. “La grande questione per gli stati membri è se dobbiamo raggiungere un accordo a tutti i costi per evitare una guerra commerciale oppure mostrare i muscoli se l’accordo non sarà sufficientemente buono”, spiega al Foglio un diplomatico. Le pressioni di Germania e Italia per fare un accordo a tutti i costi, con l’obiettivo di evitare i danni economici di un’escalation dei dazi e garantire prevedibilità e concessioni alle loro imprese, ha disarmato la Commissione. Rifiutandosi di entrare in un rapporto di forza, quello che chiedevano alcuni paesi come Francia e Danimarca, Ursula von der Leyen ha permesso all’Amministrazione Trump di aumentare ulteriormente la pressione con minacce e ricatti.

“Siamo a favorevoli a una soluzione negoziata con gli Stati Uniti”, ha detto ieri il vicepresidente della Commissione, Valdis Dombrovskis. “Sono stati fatti progressi su un accordo in principio durante i negoziati della scorsa settimana” e ora “stiamo continuano il lavoro con gli Usa sia a livello tecnico sia a livello politico. Il nostro obiettivo rimane di trovare un accordo”, ha spiegato Dombrovskis. Ursula von der Leyen domenica ha avuto una conversazione telefonica diretta con Trump. “Un buon colloquio”, hanno detto i suoi portavoce. “Sarei sorpreso se non ci fosse un accordo entro il 9 luglio”, spiega una fonte della Commissione. Ma che tipo di accordo? L’Amministrazione Trump ha comunicato agli europei di voler mantenere il dazio di base del 10 per cento e di voler imporre dazi differenziati per diversi settori. Per l’agricoltura l’aliquota potrebbe salire al 17 per cento. Per altri settori sensibili – come automobili, alluminio e acciaio, semiconduttori, legno e aerei – potrebbero essere ancora più alti. Sui prodotti sensibili, in particolare per l’industria tedesca, la Commissione sta cercando di ottenere delle “quote” che assicurino l’applicazione di dazi più bassi per una certa quantità di beni esportati. Quello che doveva essere un accordo vantaggioso per entrambi, basato sul principio “zero dazi per zero dazi”, sta diventando un accordo asimmetrico penalizzante per l’Ue.

La Commissione di Ursula von der Leyen aveva assicurato di essere pronta a rispondere “dazio su dazio” a Trump, dopo il suo ritorno alla Casa Bianca. Aveva minacciato di utilizzare lo strumento anti coercizione, che permette di colpire il settore dei servizi, compresi quelli finanziari e digitali, con restrizioni e limiti agli operatori americani. Aveva anche adottato una prima serie di contromisure per i dazi americani su alluminio e acciaio su merci esportate degli Stati Uniti per un valore di 23 miliardi di euro. Tra i prodotti presi di mira c’era anche il bourbon. Quando Trump ha minacciato di colpire in rappresaglia champagne, vini e alcolici con un dazio del 200 per cento, alcuni Stati membri (Italia, Francia e Irlanda) hanno protestato. E’ stato a quel punto che la Commissione ha rinunciato al rapporto di forza con l’Amministrazione Trump, perché ha compreso di non avere il sostegno dei governi. L’arrivo alla cancelleria in Germania di Friedrich Merz, con la richiesta di avere un accordo rapido anche se doloroso, ha fatto il resto. Trump ha potuto sfruttare le divisioni e la debolezza dell’Ue. “L’arrendevolezza ha un prezzo”, commenta un rappresentante di uno stato membro che avrebbe voluto una linea più dura da parte dell’Ue.
 

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