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L'editoriale dell'elefantino

Dietro la prepotenza pura dei coloni israeliani c'è un fenomeno che va studiato, non solo giudicato

Giuliano Ferrara

Hanno una reputazione internazionale disastrosa e in Israele abbonda un’opinione a loro duramente contraria che in nome di pace e convivenza li danna e li considera dei fascisti. Ma ascoltandoli si vedrà che al di là di tutto quel che è odio etnico, c’è qualcosa di tremendo e di molto semplice

I fantasmi o energumeni della Cisgiordania ogni tanto si organizzano, formano squadroni protetti dalle forze di sicurezza israeliane, prendono a sassate e a bastonate i poveri palestinesi dei villaggi, saccheggiano le loro proprietà, si incuneano nel loro territorio e li costringono a smantellare le loro casupole, ad andarsene. A volte è anche peggio: fanno fuoco. Hanno una reputazione internazionale disastrosa, cosa del tutto comprensibile, sono l’avanguardia di una strategia neocoloniale di dissuasione e di espulsione, attraverso la razzia, di ciò che non è loro ed è sotto occupazione militare da quasi un secolo. Sono intrisi di pensiero biblico apocalittico, vivono una vita comunitaria isolata e a suo modo eroica, subiscono anche loro provocazioni e minacce, che non sono nulla, specie dopo l’inizio dell’ultima guerra di Israele contro i suoi nemici irriducibili, rispetto alla loro tracotanza oltranzista e ai loro progetti e comportamenti di violenza antipalestinese, prosperano nelle loro fortificazioni protetti e promossi e incentivati dalla politica dei governi di destra, e in Israele abbonda un’opinione a loro duramente contraria che in nome di pace e convivenza li danna e li considera dei fascisti incompatibili con la vita della democrazia israeliana. Sono il contrario, l’opposto simmetrico, delle famiglie di Nir Oz e dei territori contigui alla Striscia di Gaza, dove il pogrom del 7 ottobre si è abbattuto in prevalenza su insediamenti o kibbutz popolati spesso da gente che aveva il mito felice della corresponsabilità, dell’aiuto umanitario, della tolleranza verso i vicini arabi e islamisti

Questi fantasmi o questi energumeni non si possono giustificare, sul piano etico e politico si presentano come spauracchi e bastonatori, ladri di olive e di altri raccolti, agenti di una potenza coloniale contro i derelitti che rischiano sottomissione ed espulsione dalla loro terra. Ovvio pretendere e ottenere un Oscar, se si filma, come in “No Other Land”, la loro storia e la storia del loro conflitto con i vicini spossessati. Ovvio il premio alla compassione, all’indagine su quello che appare come un delitto prolungato, un delitto di stato, uno stato di guerra affidato alle durezze armate di un popolo che sfida un altro popolo e lo batte, lo umilia, lo sradica. Ma questi fantasmi hanno anche un modo di parlare, quando piantano la tenda sotto casa del premier Netanyahu e si organizzano per rivendicare la guerra totale a Hamas e agli islamisti, niente tregua, niente cessate il fuoco, che deve essere ascoltato. Ascoltare per capire la loro logica e per combatterla con la ricerca di soluzioni, non con l’esorcismo o con la vanitosa felicità dei salvati, di coloro cui la vita offre l’occasione inestimabile di condursi più o meno bene. E ascoltandoli si vedrà che al di là di tutto quello che è intolleranza violenza odio etnico, al di là delle mitologie bibliche di redenzione, al di là delle compromissioni gravi di governo che permettono loro di essere come sono e di fare quello che fanno, al di là della negazione di ogni fratellanza umana e del disprezzo per chi si vuole scacciare o abbattere, c’è qualcosa di tremendo e di molto semplice.

Dicono che “quelli” li vogliono ammazzare, che non vogliono convivere in pace, che non accettano la loro esistenza e gli muovono guerra interminabile dal fiume al mare, e allora non resta che sbatterli fuori, mandarli dove vorranno o potranno, è normale, dicono, in Turchia o in Giordania o in Egitto o dove meglio credono o possono, delle migrazioni e degli esodi e della diaspora loro, gli ebrei, ne sanno qualcosa, ma non possono restare qui, in terre che hanno il nome per loro sacro di Galilea e Samaria, conquistate e occupate e colonizzate dopo aver vinto un conflitto drammatico contro l’orda arabo-islamica che intendeva liberare il paese della Bibbia dai suoi residenti ebrei. Non diversamente da loro, gli sceicchi di Hebron chiedono la fine della retorica dei due stati e una nuova logica che non sia la riproduzione all’infinito di un odio tribale. La disumanizzazione del nemico, “quelli”, gli arabi, che comporta sempre la carneficina dei brandelli residui di umanità propria, e corrisponde alla disumanizzazione di sé che è negli occhi e nei comportamenti degli altri, noi, messi comodi, la vediamo come una simbologia del male morale, come un atto di mera prevaricazione, come violenza fanatica contro la giustizia. E vediamo bene, ma non vediamo tutto e non ascoltiamo niente.

Sentendoli parlare con impudica buona coscienza della loro identità autentica, si capisce invece che non sono un’escrescenza purulenta della storia del sionismo e di Israele, banditi agli ordini di politicanti irresponsabili che tengono per le palle il governo israeliano, sono anche quello, ma rappresentano un’anima dell’insediamento sionista che la storia stessa ha per così dire insufflato della necessità dell’odio. Facile e diffuso il farne simbolo di prepotenza coloniale pura, facile pensarli alla luce dei programmi politici e dei capi dei partiti che li rappresentano e che la delicata opinione internazionale esclude dalla presentabilità umanitaria democratica. Tutti saremmo più tranquilli e sicuri se venisse messa loro la mordacchia, ma dimenticheremmo che c’è una continuità drammatica, e che ha attraversato tutto lo spettro della società israeliana e delle sue correnti, anche quelle di sinistra e democratiche, anche quelle incorrotte dallo spirito di crociata antipalestinese, anche quelle che hanno sempre rivendicato l’urgenza della ricerca della pace, tra i coloni e la fondazione di uno stato che nasce e vive della fine della pace, perché fondare uno stato e una comunità in una terra nuova e antica, in cui si intrecciano le radici di altri, è comunque un atto di intrusione e di spodestamento, quale che sia la risoluzione dell’Onu che autorizza. La questione è dunque quella non già di farsi belli del rifiuto altezzoso della bruttezza morale dell’espansionismo dominante che non riconosce altra soluzione politica che la scomparsa o l’allontanamento forzato del nemico, ma la ricerca di quella soluzione alternativa. La scelta tra civiltà e barbarie, tra sionismo e colonialismo, tra democrazia e fanatismo, è tutta lì
 

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  • Giuliano Ferrara Fondatore
  • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.