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l'analisi

Per ritrovare la voce e la capacità d'azione europea, facciamo entrare l'Ucraina nell'Ue

Andrea Graziosi

Dietro la sospensione degli aiuti americani all’Ucraina potrebbe esserci una strategia per chiudere il conflitto a vantaggio di Mosca. Ma la resistenza ucraina ha già cambiato la storia, e va riconosciuta come una vittoria

È probabile che la decisione di Trump di sospendere temporaneamente la fornitura agli Ucraini di strumenti di difesa aerea e di munizioni dotate di sistemi di puntamento preciso, inquadrata formalmente in una revisione generale di questo tipo di armamenti che scarseggerebbero oramai anche negli Stati Uniti, faccia parte di una strategia di pressione su Kyiv perché accetti “inevitabili” concessioni alla Russia. Come a dire: il conflitto deve cessare e ti devi rassegnare a cedere su alcuni punti, anche perché se non lo fai sotto il nostro ombrello rischi di finire peggio.

E’ anche possibile che questa strategia sia concordata con Mosca, con cui il dialogo è intenso, come dimostra anche la ripresa dei contatti con Parigi, che non è però nel loop di un dialogo per ora sostanzialmente russo-americano, in cui forse sono già state tracciate delle linee di intesa. Ed è probabile che il dialogo sia facilitato dal fatto che Putin sa bene (come sa bene la classe dirigente russa) che la sua avventura del 2022 è finita male ed è costata e costa alla Russia tantissimo: più di un milione di morti e feriti, un’economia rovinata come sono tutte le economie di guerra dopo una prima fase espansiva, la dipendenza dalla Cina, la rovina della sua posizione internazionale, dal Baltico all’Iran passando per la Siria, il Caucaso, l’Asia centrale, ecc.

Per uscire dal tunnel senza pagarne un prezzo anche personale, e permettendo alla sua “Russia sempre vincitrice” di salvare almeno la faccia dopo aver fallito nell’apparentemente facilissima impresa di sconfiggere un paese più piccolo, più povero e peggio armato, Putin ha però bisogno di dire di aver vinto. E il riconoscimento del controllo russo sulla Crimea e su buona parte degli altri territori occupati glielo permetterebbe, almeno nel breve periodo che, data l’età, è l’unico che gli interessa. E’ quindi possibile che Putin sia pronto a incassare quel che già ha per dire ho vinto e dichiarare la pace, tra il sollievo generale dei suoi russi. E gli americani starebbero in pratica facilitando questa soluzione. L’Ucraina sembra quindi in un vicolo cieco, anche perché sia Kyiv sia gli europei hanno scoperto che l’“Europa” non è in grado di aiutare dal punto di vista militare nemmeno se stessa, né lo sarà – nel caso migliore – per qualche anno. 

Da storico, mi sembra però che sia possibile sostenere, e in modo fondato, quanto segue. Se l’Ucraina riuscirà a tenere Odessa e Kharkiv, a conservare il suo esercito e ad aprirsi stabilmente a occidente, la sua sarà giudicata in futuro una vittoria straordinaria. Tre anni fa chiunque, e non solo Putin (ricordiamo il comportamento dei paesi occidentali che chiudevano le ambasciate a Kyiv), immaginava che dopo una sia pure breve e intensa resistenza, l’Ucraina sarebbe stata sconfitta dal grande esercito russo, che soverchiava quello ucraino in uomini, mezzi e strumenti, oltre a essere protetto da uno scudo nucleare che lo proteggeva da interventi esterni. Dopo tre anni di resistenza durissima, punteggiata da grandi successi e pagata con centinaia di migliaia di vittime, la situazione al fronte sembra quasi stabilizzata e l’Ucraina esiste nella coscienza delle persone, delle nazioni e degli statisti di tutto il mondo, che hanno imparato che non è un pezzo di Russia.

Il vero pericolo è che l’amarezza di dover cedere il 20 per cento circa dei suoi territori per una “pugnalata” alle spalle, subendo quella che è formalmente un’ingiustizia da qualunque punto di vista la si guardi, come ammettono anche le Nazioni Unite in comunicati che non possono che prendere atto della violazione russa di ogni principio del diritto internazionale, impedisca agli ucraini di capire quanto è comunque grande la loro vittoria. Hanno combattuto una guerra di indipendenza contro un nemico di gran lunga superiore e hanno retto, di fatto vincendola. Il duro prezzo da pagare è il prezzo della vittoria, non della sconfitta.

Il non capirlo, unito a una traboccante amarezza, potrebbe tuttavia trascinare l’Ucraina in una crisi politica che segnerebbe, questa sì, la sua sconfitta. L’Unione europea, che può far poco o nulla per aiutarla militarmente, può però fornirle un aiuto decisivo per evitare che ciò accada, offrendosi di garantire una rapida procedura di ammissione alla fine dei combattimenti. Il fermo inserimento di quel che resterebbe un grande paese, con le sue città maggiori e l’orgoglio di aver fermato un avversario tanto più grande, nell’Unione aiuterebbe l’Ucraina a capire la portata della sua impresa e tutta l’Europa a ritrovare una sua voce, una sua politica, e una sua capacità di azione, difendendo i princìpi che ci stanno a cuore (e saremmo in questo gioco gli unici a farlo). Penso che questo sia quanto sarebbe giusto, doveroso e anche nel nostro interesse fare, anche perché stabilizzerebbe una situazione che rischierebbe di diventare assai complessa. 

Aggiungo un’ultima nota, irrilevante in termini analitici, ma non nel giudizio morale e umano che ci si forma in queste grandi crisi. Trump segue apertamente le ragioni della forza, ma non ha colpe “originarie”. Putin è il vero colpevole. E i nostri politici e commentatori “pacifisti”, che da anni, anticipando Trump ma senza avere i suoi interessi e le sue possibilità, pregano ipocritamente perché l’aggredito sia costretto a cedere in nome della pace, sono il simbolo più vistoso di un profondo degrado umano che è bipartisan come bipartisan è stata la decenza. 

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