Il "pesce marcio"

Trump vuole chiudere Voa e Radio Free Europe quando servono di più

Paola Peduzzi

L’Amministrazione Trump è convinta che Voice of America sia diventata un organo di propaganda antiamericano, e così ha nominato una fedelissima (cospirazionista) alla guida dell’Agenzia per i media globali, come Radio Free Europe, con il mandato di smantellare tutto

Perché un repubblicano dovrebbe desiderare la sopravvivenza di Voice of America?, ha chiesto Donald Trump sul suo diario-social Truth, “è un disastro di sinistra totale, nessun repubblicano dovrebbe votare per la sua sopravvivenza, terminatela!”. Voice of America (Voa) è la radiotelevisione fondata nel 1942 dal governo americano, trasmette in tutto il mondo in 46 lingue diverse, è uno degli strumenti del soft power americano – dal 2017 è nella lista degli “agenti stranieri” della Russia, per dire – impiega circa mille persone, è vista settimanalmente in media da 320 milioni di persone e costa ogni anno allo stato più o meno 270 milioni di dollari. Ma l’Amministrazione Trump è convinta che Voa sia diventata un organo di propaganda antiamericano, “la voce dell’America radicale”, e così ha nominato una fedelissima (cospirazionista), Kari Lake, alla guida dell’Agenzia per i media globali, come Radio Free Europe, con il mandato di smantellare tutto. In audizione al Congresso mercoledì, Lake ha detto che non si tratta di ridimensionare Voa e le altre con qualche licenziamento chirurgico, bisogna cancellarla, perché è “corrotta”, è “di parte”, è “un pesce marcio”. L’ordine esecutivo trumpiano risale a marzo, la solerte ex conduttrice tv sta eseguendo gli ordini. Solo che poi c’è la realtà, che in questi ultimi giorni ha preso una sua forma precisa in Iran, e questa battaglia ideologica ha confermato i suoi limiti.

“Se gli americani avessero bisogno di prove sul valore di Radio Free Europe (Rfe), l’Iran è la prova A”, ha scritto il (conservatore) Wall Street Journal. Quando è iniziata l’operazione militare di Israele, gli iraniani hanno avuto bisogno di informazioni per  contrastare la propaganda statale del regime iraniano, e si sono rivolti a Radio Farda, la versione di Rfe in farsi che ha sede a Praga: il traffico su Instagram è aumentato del 344 per cento, sul sito del 77 per cento, gli utenti sono arrivati da tutto il medio oriente e il Nord Africa. Normalmente Radio Farda raggiunge 6,5 milioni di persone, circa il 10 per cento della popolazione iraniana, per lo più giovane, costa circa 6 milioni di dollari l’anno, pochissimo rispetto alla sua utilità, ma eseguendo gli ordini, Kari Lake  ha tagliato i freelance, licenziato buona parte dei giornalisti, sospeso l’utilizzo dei trasmettitori in Kuwait che permettevano le trasmissioni radio a onde corte in Iran. Questa vecchia tecnologia rimane una fonte cruciale di informazione durante i momenti di crisi, e così quando è scoppiata la guerra in Iran, alcuni dipendenti sono stati richiamati, hanno prodotto video che informavano sugli obiettivi delle bombe israeliane, sui benzinai e mercati aperti, sul traffico sulle vie di fuga da Teheran, così come hanno smontato le immagini false messe in circolo dal regime iraniano. La redazione si è rimessa al lavoro, senza turni, senza  la certezza di uno stipendio, utilizzando l’Associated Press il cui contratto scade tra tre giorni: “Perché smantellare un sistema che funziona solo per rimpanucciarlo quando capisci di averne bisogno?”, ha detto la reporter di Voa alla Casa Bianca, Patsy Widakuswara, che combatte contro la chiusura in tribunale, “e quante crisi dovranno esserci prima che il governo realizzi che ha bisogno di Voa?”.

A giudicare dalla testimonianza di Kari Lake al Congresso, il momento della consapevolezza è lontano, forse non esiste proprio: la direttrice di un’agenzia che lei stessa vuole chiudere ha detto che questi media sono antiamericani, “una minaccia alla sicurezza nazionale”, pieni di dipendenti che in realtà sono agenti di paesi nemici, come la Cina. Il direttore di Voa, Mike Abramowitz, ha chiesto le prove delle dichiarazioni di Lake e ha aggiunto una domanda importante: “Se Voa è controllata dal Partito comunista cinese, perché questo si è rallegrato quando ha saputo dell’ordine di chiusura?”. Hu Xijin, ex direttore del Global Times, quotidiano di stato cinese, ha definito “davvero gratificante” l’interruzione delle trasmissioni di Voa e di Radio Free, augurandosela “irreversibile”. Non è l’unico: Margarita Simonyan, direttrice dell’organo di propaganda del Cremlino, quell’Rt che sta facendo una campagna pubblicitaria con cartelloni a Milano, Bologna e Roma, aveva esultato per la “fantastica decisione” dell’Amministrazione Trump, “oggi è un giorno di festa per  me e i miei colleghi”. Il premier ungherese Viktor Orbán, che è in parte l’ispiratore della guerra al pluralismo mediatico, aveva commentato l’annuncio trumpiano dicendo: “Non potrei essere più felice”.

Nella sua caccia alle streghe liberal, l’Amministrazione Trump non sta soltanto sgretolando il soft power americano, ma sta consegnando il controllo dell’informazione globale ai paesi autoritari che, come si sa, in fatto di propaganda e disinformazione sono parecchio forti. Per questo anche i repubblicani stanno avendo qualche dubbio, così come li ha avuti la stessa Lake quando ha deciso di rimettere in piedi la redazione di Radio Farda, salvo non rinnovare i contratti, non restaurare i trasmettitori, non fare tutto il necessario perché questa emittente potesse fare quel che è nel suo mandato, in un momento di massima emergenza. E sì che per un presidente che si considera il regista della guerra e della pace, dovrebbe essere evidente il potere – invero poco costoso – di una radio libera. 
 

Di più su questi argomenti:
  • Paola Peduzzi
  • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d'amore - corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d'amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l'Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell'Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi