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negli Stati Uniti
Tucker Carlson, il duro e puro
Più trumpiano di Trump? Così l’anchorman dà filo da torcere alla Casa Bianca con la sua battaglia anti Israele
Esistono due grandi categorie di trumpiani. Ci sono i Maga duri e puri, quelli che hanno visto nascere il movimento Make America Great Again e ci hanno creduto fin dal principio. E poi ci sono quelli che hanno cercato di resistere all’ascesa politica di Donald Trump, ma alla fine si sono arresi e si sono messi a disposizione del nuovo leader, magari detestandolo. Tucker Carlson non solo appartiene alla prima categoria, ma è in buona parte uno dei creatori dell’universo Maga, una sorta di cofondatore insieme a Trump.
Il dibattito con il senatore Ted Cruz, inviato da una fetta di repubblicani con un compito da sicario. Per molti, il giornalista ha umiliato il politico
Ted Cruz è invece la migliore incarnazione del secondo gruppo, un ex avversario del presidente che si è rassegnato a seguirlo e a essergli fedele. Per questo, quando nei giorni scorsi i due si sono seduti uno di fronte all’altro e si sono scambiati accuse e insulti per due ore di fila davanti alle telecamere, è stato un momento quasi storico per l’epopea Maga. L’ora della resa dei conti. Cruz è un navigato senatore del Texas che un tempo sognava di fare il presidente e adesso si accontenta di sopravvivere in Senato. Ma è soprattutto l’incarnazione di un intero mondo repubblicano che ha abbandonato per sempre le posizioni dei Bush, dei McCain o dei Romney, decidendo che il populismo Maga è una forza che non si può più contrastare in America: tanto vale arrendersi e accettare di fare ogni tanto anche il lavoro sporco che Trump preferisce delegare. E’ per questo che ha deciso di presentarsi negli studi del “Tucker Carlson Network” (Tcn), dove è stato mandato dalla Casa Bianca e da una larga fetta del mondo repubblicano in Senato con un compito da sicario: cercare di far fuori, sul piano reputazionale, un Carlson che in questo momento, tra i fedelissimi del presidente, dà più fastidio di quanto ne dava fino a qualche settimana fa Elon Musk.
Solo che Carlson non è un geniale imprenditore sudafricano trapiantato nella Silicon Valley e privo di esperienza sui trabocchetti della politica di Washington. E’ invece uno scaltro e navigato giornalista, anchorman e opinionista che conosce la capitale americana come pochi altri, sa fiutare l’aria che tira ed è abilissimo a posizionarsi nel modo a lui più favorevole. Chi abbia vinto lo scontro in tv è un verdetto che dipende dalle simpatie degli innumerevoli commentatori che da giorni ne parlano sui media e sui social. C’è chi sostiene che Cruz abbia fatto un buon lavoro nel dipingere Carlson come un antisemita filoputiniano che ha perso il senso della ragione. E ci sono invece quelli – molto più numerosi – secondo i quali il giornalista ha massacrato il politico, umiliandolo con domande a cui non sapeva rispondere. Come quella su quanti siano gli abitanti dell’Iran: di fronte alla scena muta di Cruz, Carlson ha avuto buon gioco nell’accusare il senatore e gli altri repubblicani sostenitori della necessità di bombardare Teheran di non sapere neppure di che paese stiano parlando.
Gli esponenti un tempo dell’ala neocon non hanno digerito l’isolazionismo della base Maga. La resa dei conti con i “puristi”
Israele e l’Iran stanno creando un corto circuito nel mondo trumpiano che prima o poi doveva arrivare. La voglia di intervenire militarmente contro gli ayatollah ha fatto rialzare la testa a esponenti un tempo dell’ala neocon come Cruz, che non hanno mai digerito l’isolazionismo della base Maga e ora cercano di convincere Trump a fare quello che ha sempre detto di non voler fare: portare l’America di nuovo in guerra. Ma se le posizioni del senatore del Texas e di una parte dell’establishment repubblicano sono note, lo scontro in casa tra conservatori americani è interessante soprattutto per come riporta i riflettori sui “puristi” del movimento Maga come Tucker Carlson, che improvvisamente si ritrovano a essere più trumpiani di Trump. Per l’ex dominatore dei palinsesti televisivi finito nelle retrovie, è il momento della rivincita e, chissà, potenzialmente anche il momento di proporsi come alternativa politica futura per un mondo populista che sogna l’isolazionismo e non vuole essere coinvolto in un’altra guerra. Tucker Carlson ha tutte le carte in regola per dare patenti di “trumpismo”, perché in un certo senso è lui, insieme a FoxNews, ad aver inventato miti, riti e idee dell’èra di Trump.
Il rilancio con lo streaming, le accuse a Netanyahu e l’ipotesi di una discesa in campo come “vero” erede di The Donald nel 2028
A cinquantasei anni, Tucker – come lo chiamano tutti, perché si è davvero famosi quando il proprio nome diventa un brand, come nel suo caso o in quello di The Donald – è in apparenza uno sconfitto, relegato in un angolo dopo essere stato potentissimo. Ma è solo apparenza. I suoi anni d’oro, è vero, sono stati quelli della prima presidenza Trump, quando era il re degli ascolti televisivi e dettava legge nel paese con il suo “Tucker Carlson Tonight” sulla Fox. C’era arrivato con una dura gavetta, che non ha mai dimenticato. Tucker è un californiano cresciuto insieme al fratello Buckley da un padre che era un personaggio importante del mondo giornalistico e del Partito repubblicano. La madre aveva abbandonato marito e figli per rifarsi una vita in Francia e il piccolo Tucker ha avuto un’adolescenza un po’ nomade e solitaria, prima di ritrovarsi come madre adottiva una ricca ereditiera dell’industria alimentare. Dopo anni passati saltando da un college a un altro, il neolaureato Tucker sognava di diventare un agente della Cia, ma a Langley fu scartato e decise allora di provare con il giornalismo. Dopo aver lavorato in svariati giornali conservatori, Tucker Carlson si fece notare per la prima volta nel 1999 mentre scriveva per una testata di tutt’altro genere: “Talk”, la rivista delle celebrità inventata da Tina Brown. Fece scalpore una sua intervista all’allora governatore del Texas George W. Bush, in corsa per la presidenza, che creò al candidato repubblicano molti problemi perché Carlson raccontò che ironizzava sui condannati a morte di cui autorizzava l’esecuzione (il Texas era in quel momento lo stato dei record in tema di pena capitale).
Fu poi proprio negli anni della presidenza Bush che Tucker Carlson si affacciò in tv, come voce conservatrice in un paio di programmi della Cnn. Il network però lo licenziò nel 2005, ritenendolo troppo a destra per il proprio pubblico. Carlson approdò dopo qualche tempo su Msnbc con il suo programma “Tucker”, ma anche in questo caso la tv dove aveva trovato casa si spostò molto a sinistra e decise di eliminarlo dalla programmazione. E’ in quegli anni tra il 2006 e il 2008, mentre emergeva la stella di Barack Obama e i repubblicani entravano in crisi profonda, che Carlson si trovò disoccupato e sempre più arrabbiato. Le guerre di Bush rafforzarono i suoi sentimenti isolazionisti, le sue idee si spostarono dal mondo conservatore a quello libertario per poi approdare verso un populismo nemico della globalizzazione e dell’immigrazione, nel quale si trovò in sintonia con futuri teorici del trumpismo come Steve Bannon. Approdato nel 2009 su Fox News, ricominciò dal basso come reporter politico, ma ben presto ottenne spazi come conduttore di programmi sempre più importanti fino a ottenere nel 2016, all’inizio della prima Amministrazione Trump, di poter lanciare il “Tucker Carlson Tonight”. Non è stato ancora studiato fino in fondo il peso che Fox News e lo stesso Carlson hanno avuto sulla storia americana durante gli anni di Obama, Trump e Biden, ma sicuramente per almeno un decennio, tra il 2010 e il 2020, Fox è stato un network che non ha semplicemente “raccontato” l’America, ma l’ha soprattutto disegnata e reinventata. E Carlson ne è stato la voce più autorevole.
Uno dopo l’altro i conduttori di maggior successo del network, da Bill O’Reilly a Megyn Kelly, da Sean Hannity a Greta Van Susteren, sono stati tutti sorpassati e messi in secondo piano dalla faccia d’angelo e dalle parole taglienti di Tucker. Merito anche delle guerre interne alla dinastia dei Murdoch, i proprietari e fondatori della tv di maggior successo dell’ultimo quarto di secolo. Il vecchio Rupert aveva affidato il controllo di Fox News al suo braccio destro Roger Ailes, ma quando quest’ultimo era stato travolto da uno scandalo sessuale, le redini erano passate a Lachlan Murdoch, che tra i figli del magnate australiano era quello più in linea con le idee del padre. Ma Lachlan non sapeva fare tv, guidava il network da lontano, stando quasi sempre in Australia, e doveva costantemente guardarsi le spalle dalle trame del fratello James e di due sorelle che cercavano di prendersi Fox News per spostarla verso i democratici. Una faida famigliare che peraltro ancora prosegue ed è finita in tribunale. Cercando alleati, Lachlan ne aveva trovato uno perfetto in Tucker Carlson, che di fatto divenne il “ceo ombra” del network e uno degli uomini più potenti di New York. E dalla sua posizione, forte dell’investitura dall’alto e degli indici d’ascolto stellari, Tucker si dedicò alla sua opera più ambiziosa: dare la linea all’amministrazione Trump, condizionare le scelte del governo, di fatto diventandone la vera voce.
Carlson e Fox News hanno plasmato il Make America Great Again. Poi il licenziamento improvviso dal network nel 2023
Il movimento Maga non ha mai avuto una vera consistenza, fino a quando Tucker Carlson e Fox News non lo hanno plasmato e reinventato a loro immagine. L’anchorman è stato il più autorevole interprete del trumpismo e lo ha difeso anche nei momenti più bui, come quelli dopo la sconfitta con Joe Biden nel 2020 e dopo l’assalto a Capitol Hill del 6 gennaio 2021. Tucker Carlson ha innestato nell’ecosistema Maga perfino le proprie manie e teorie cospirative, da quelle sul Covid alle accuse a sfondo razziale contro gli immigrati o alle ipotesi di una gigantesca macchinazione per far perdere le elezioni a Trump.
E’ sempre in buona parte a Carlson che si deve il fascino che esercita su larga parte del movimento Maga la figura di Vladimir Putin (e al contrario l’odio per Volodymyr Zelensky e l’Ucraina). Tucker, come Trump, ha sempre avuto parole di grande elogio per il presidente russo, si è spinto a difendere la sua scelta di attaccare Kyiv dando la colpa all’occidente che lo avrebbe “costretto” e nel febbraio 2024 ha fatto discutere il mondo per la sua scelta di andare a Mosca a realizzare un’intervista agiografica allo zar, accompagnata da un reportage in giro per la Russia pieno di elogi.
L’ascesa di Carlson sembrava però essersi bruscamente e forse definitivamente interrotta il 24 aprile 2023, quando Fox News aveva annunciato all’improvviso il suo licenziamento. Le teorie su cosa sia successo si sono sprecate, la più autorevole sembra però essere quella secondo la quale Lachlan Murdoch ha deciso di sacrificarlo dopo essere stato costretto a pagare una mega risarcimento di 787 milioni di dollari alla società Dominion, che ha gestito molti dei sistemi di voto nelle elezioni americane del 2020. Carlson era stato tra i più accesi sostenitori della tesi delle “elezioni truccate”, molto cara a Trump. Per Tucker sembrava arrivato il momento del ritiro dalla scena e dell’esilio nella bella villa sull’isola esclusiva di Boca Grande in Florida, insieme alla moglie Susie e ai quattro figli. Carlson invece si è reinventato, prima con l’aiuto di Elon Musk lanciando un programma su X, poi costruendo il proprio network in streaming Tcn. E’ rimasto nell’orbita trumpiana, seduto in tribuna d’onore nelle convention dei repubblicani, insieme alla famiglia del presidente. Ha stretto un forte legame con J.D. Vance e con Don Jr. ed è diventato anche nella seconda Amministrazione Trump un punto di riferimento per il mondo Maga, soprattutto quando si tratta di isolazionismo e di dottrina America First.
Adesso però Israele e l’Iran stanno creando una sorta di regolamento di conti interno al trumpismo. Carlson è sempre stato un nemico di Israele – al punto da attirarsi accuse di antisemitismo – e ha alzato il tono delle accuse al governo di Netanyahu subito dopo l’inizio degli attacchi a Teheran. Quando Donald Trump ha cominciato a far capire di non voler prendere le distanze dall’operato degli israeliani e addirittura di valutare un possibile intervento diretto degli Stati Uniti nel conflitto, Tucker Carlson si è messo alla guida dei critici e ha rivendicato l’isolazionismo Maga. Moltissimi, nel movimento del presidente, sono dalla sua parte e questo è stato percepito come un pericolo da parte della Casa Bianca, che ha spedito Cruz a provare ad attaccarlo e frenarlo. In apparenza con scarsi risultati.
Carlson non sembra intenzionato a farsi da parte come Elon Musk, ha dalla sua parte l’ala dura dei trumpiani come Bannon e vuol dare lezioni di trumpismo allo stesso presidente. Se non sarà ascoltato o se cercheranno di metterlo ai margini, potrebbe scegliere la strada politica a cui pensa da tempo: cominciare a lavorare per una propria candidatura presidenziale nel 2028, come “vero” portavoce del movimento Maga ed erede di The Donald.