cortocircuito piano mattei

Le finali del campionato di calcio libico a Milano, ma l'Italia non ne sa nulla

Luca Gambardella

La federazione di Tripoli e il club danno per fatto l'accordo, ma il ministro Abodi dice che "non c'è nulla di deciso". Il precedente del 2024, con i capi-milizia con tanto di visto a fare il tifo negli stadi italiani

Per il secondo anno di fila, l’Italia ospiterà le finali del campionato di calcio libico, a Milano per l’esattezza. Dove però, nessuno lo sa. Martedì la Federazione calcistica di Tripoli, rivendicando anche il patrocinio del governo italiano e della Figc, ha ufficializzato il tutto, ma evidentemente prima che il governo italiano desse il suo via libera. Il risultato è un (nuovo) pasticcio diplomatico sull’asse Roma-Tripoli, stavolta in salsa calcistica. 

Ma andiamo con ordine. In Libia in questi giorni si stanno giocando le ultime partite per selezionare le squadre che si contenderanno il titolo. Due i gironi, uno a est e uno a ovest, le prime tre di ciascuno voleranno in Italia all’inizio di luglio. Almeno così dicono in Libia, dove persino il club dell’al Sweihly, la squadra di Misurata che si è già qualificata per le finali, ha postato sulla sua pagina Instagram un fotomontaggio con tanto di scritta “Ciao Italia!” e con i giocatori sorridenti al gate dell’aeroporto pronti a imbarcarsi per il nostro paese. 

 

Il ministro dello Sport, Andrea Abodi, dice al Foglio che però non c’è nulla di concreto al momento. “Se non arriva il via libera, non si fa nulla. Ci sta lavorando il nostro consigliere diplomatico”. “Sia chiaro che l’organizzazione non spetterebbe a noi”, premettono dal ministero, dove ora ci si affretta a prendere le distanze dall’evento, dopo che l’anno scorso lo stesso Abodi, alla presenza della premier Giorgia Meloni, aveva sottoscritto l’accordo di cooperazione con le autorità libiche durante una visita ufficiale a Tripoli. “Non sappiamo nulla e comunque non siamo nemmeno noi gli organizzatori”, fa eco la Figc. “Ci limitiamo a reperire gli arbitri e i match manager per omologare i risultati. Il coordinamento logistico spetta a una società privata”. 

La società privata in questione è la Sport Global Management, con sede a Ginevra. Fondata e diretta da Gaël Mahé, ex procuratore di Paul Pogba, anche Mahé sembra in imbarazzo quando gli si chiedono i dettagli dell’accordo siglato con la Libia. “Non c’è nulla di ufficiale”, spiega al Foglio, evidentemente all’oscuro dell’annuncio già fatto dalla federazione di Tripoli. Lo mettiamo allora al corrente che a Tripoli si dà già tutto per fatto, che i club hanno già confermato che giocheranno a Milano. “Allora forse è ufficiale solo per loro”, chiosa. 

La sua società fu contattata dai libici per organizzare le finali anche lo scorso anno e il risultato fu disastroso. Dapprima, “illuse” i libici di potere giocare le finali in stadi importanti come l’Olimpico di Roma o il Viola Park di Firenze, senza considerare che in quel periodo dell’anno i campi erano in manutenzione oppure già occupati per i concerti estivi, quindi inagibili. Addirittura, Mahé arrivò a proporre ai libici il Flaminio di Roma, prima che il nostro ministero dello Sport gli facesse presente che la struttura era da anni in stato di abbandono. Alla fine, la Sport Global Management deviò verso destinazioni molto meno accattivanti e le partite finirono per giocarsi tra L’Aquila, Teramo e Avellino. Non senza ulteriori difficoltà sorte per i capricci delle squadre libiche, tanto esigenti da non gradire gli alberghi che erano stati loro proposti. D’altra parte, la federazione di Tripoli si era presentata forte di un ricco sponsor, la Tamoil di Oilinvest, società petrolifera olandese posseduta a sua volta dalla Libyan Investment Authority, principale braccio finanziario della famiglia Haftar.  

 

Così come lo scorso anno, anche stavolta uno degli aspetti più delicati sarà quello dei tifosi “particolari” che le squadre libiche si porteranno al seguito. Molti club sono posseduti dai ricchi capi milizia che si spartiscono la Libia. Per esempio, l’al Ahly di Tripoli, uno dei team più forti del paese, era di Abdel Ghani al Kikli, meglio noto come “Ghnewa”. Il capo dell’Apparato di stabilità e supporto, una delle milizie più forti della capitale, è stato ucciso il mese scorso in un agguato ordito a Tripoli dagli uomini del premier, Abdelhamid Dabaiba. Accusato di torture, omicidi e rapimenti – in queste settimane si stanno rinvenendo diverse fosse comuni nel quartiere di Abu Salim che era sotto il suo controllo – un anno fa l’Italia gli concesse il visto, pur di permettergli di seguire da vicino la sua squadra durante le finali (nella foto in alto). Il direttore generale dell’al Ahly è Osama Tleesh, considerato il successore di Ghnewa nell’ovest della Libia e figura influente durante la faida che si è riaperta di recente per il controllo di Tripoli. 

 

Lo scorso anno gli imbarazzi del nostro governo culminarono in siparietti al limite del grottesco. Per la premiazione della vincitrice, l’al Nasr di Khaled Haftar, figlio del generale della Cirenaica, fu allestito un podio allo Stadio dei marmi di Roma, presenti il ministro degli Esteri Antonio Tajani, quello dello Sport Abodi, l’allora presidente della Federcalcio libica, Abdulhakin al Shalmani, e di quella italiana, Gabriele Gravina (foto in basso). Se non fosse che, per evitare l’imbarazzo di farsi ritrarre stringendo la mano al figlio di Haftar, il cui governo non è riconosciuto dalla comunità internazionale, a Khaled fu impedito di partecipare alla cerimonia. Per protesta, nemmeno i giocatori dell’al Nasr si presentarono, lasciando Tajani perplesso sul palco con decine di medaglie in mano senza sapere a chi darle. Alla fine si presentò un magazziniere della squadra, che ritirò la coppa e la portò nel parcheggio dello stadio, per consegnarla a Haftar, finalmente libero di festeggiare insieme ai giocatori.

 

Scene che rischiano di ripetersi quest’anno e che compromettono le premesse ben più nobili del nostro Piano Mattei, che vorrebbe “riconoscere all’Africa il ruolo che merita – come ha ricordato proprio ieri Meloni al vertice sul Piano Mattei di Villa Pamphilj alla presenza della presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen –, costruire partenariati veri, fondati sul rispetto, sulla reciprocità, sull’identità”. Ma come dimostra il caso libico, dipende sempre da chi vincerà la coppa.

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  • Luca Gambardella
  • Sono nato a Latina nel 1985. Sangue siciliano. Per dimenticare Littoria sono fuggito a Venezia per giocare a fare il marinaio alla scuola militare "Morosini". Laurea in Scienze internazionali e diplomatiche a Gorizia. Ho vissuto a Damasco per studiare arabo. Nel 2012 sono andato in Egitto e ho iniziato a scrivere di Medio Oriente e immigrazione come freelance. Dal 2014 lavoro al Foglio.