L’Alto rappresentante per la politica estera Kaja Kallas (foto ANSA)

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La minaccia dell'Ue sull'accordo di associazione con Israele si sgonfia

David Carretta

I ventisette sono praticamente spaccati a metà sul medio oriente. E con la guerra di Israele all’Iran, l’Ucraina non è più la principale priorità dei ministri degli Esteri dell'Unione europea, anche se formalmente è in cima all’agenda del Consiglio Affari esteri di lunedì

Bruxelles. La minaccia di sospendere l’accordo di associazione tra l’Unione europea e Israele per le violazioni dei diritti umani a Gaza e in Cisgiordania si sta rapidamente disinnescando nel contesto della guerra lanciata dal governo di Benjamin Netanyahu contro il programma nucleare iraniano. Ieri l’Alto rappresentante per la politica estera, Kaja Kallas, ha fatto pervenire agli stati membri la revisione del suo Servizio europeo di azione esterna e della Commissione sul rispetto dell’articolo 2 dell’accordo di associazione sul rispetto dei diritti fondamentali. Ma una maggioranza di ministri al Consiglio Affari esteri di lunedì le dirà di usare le conclusioni per fare pressioni su Israele, non per sanzionarlo. Almeno non prima della fine dell’estate. Con la guerra di Israele all’Iran, l’Ucraina non è più la principale priorità dei ministri degli Esteri dell’Ue, anche se formalmente è in cima all’agenda di lunedì.   

Un accordo sul diciottesimo pacchetto di sanzioni contro la Russia è vicino, anche se la Slovacchia ha detto che non potrà dare il via libera prima del Consiglio europeo del 26 giugno. L’Ungheria non sembra intenzionata a mettere il veto alla proroga delle vecchie sanzioni in scadenza il 31 luglio, compresi i 210 miliardi di attivi congelati della banca centrale russa. “Le decisioni di Viktor Orbán sono legate a ciò che accade negli Stati Uniti. Al G7 Donald Trump ha chiesto all’Ue di mantenere la pressione sulla Russia e perfino rafforzarla con le sanzioni”, spiega al Foglio una fonte europea. Molto più del Consiglio Affari esteri di lunedì, saranno i vertici dei capi di stato e di governo della Nato e dell’Ue della prossima settimana all’Aia e a Bruxelles a determinare le scelte europee sull’Ucraina.

Il medio oriente è un tema molto più complicato per l’Ue. Sull’Iran la linea ufficiale è “de-escalation” e “diplomazia”. Il direttore dell’Aiea, Rafael Grossi, parteciperà a una prima colazione con i ministri europei. I ventisette sono praticamente spaccati a metà su Israele, che sia sull’Iran o su Gaza. A maggio, di fronte alle immagini di bambini vittime della fame nella Striscia, c’era stato uno spostamento degli equilibri tradizionali. I Paesi Bassi avevano chiesto di rivedere l’accordo di associazione Ue-Israele per valutare se il governo Netanyahu rispetta i diritti umani. Una maggioranza di stati membri (diciannove su ventisette) hanno sostenuto la richiesta. Per alcuni di loro era il primo passo per sospendere l’accordo in toto o in parte, come previsto in caso di violazione dell’articolo 2 sui diritti umani e i valori fondamentali. Per altri doveva semplicemente essere un segnale indirizzato a Israele.

 

                

 

Kallas ieri ha presentato le sue conclusioni che i diritti umani sono violati, ma lunedì i ministri degli Esteri non passeranno direttamente all’azione. Il Consiglio Affari esteri dovrebbe limitarsi a prenderne atto. I ministri poi incaricheranno Kallas di usare queste conclusioni come strumento di pressione su Israele. “E’ uno strumento politico. Attraverso questo processo vogliamo spingere Israele a cambiare comportamento”, spiega un diplomatico. Del resto nemmeno i 19 paesi che hanno sostenuto la revisione a maggio “non sono un blocco unito”. Al suo interno ci sono posizioni diverse. I Paesi Bassi, che hanno lanciato il processo, non vogliono “sospendere il dialogo” o “sospendere l’accordo di associazione”, dice il diplomatico. 

Il mandato a Kallas dovrebbe prevedere di chiedere al governo israeliano di porre fine al blocco degli aiuti a Gaza, un cessate il fuoco che faciliterebbe la liberazione degli ostaggi e la fine delle azioni nella Striscia e in Cisgiordania che rendono più difficile la soluzione dei due stati. I passi successivi saranno decisi sulla base della reazione di Israele. Se non ci saranno risposte positive da parte del governo Netanyahu, Kallas dovrebbe fare il punto al Consiglio Affari esteri di luglio, prima di presentare una serie di opzioni su come rispondere da discutere durante l’estate. Per sospendere l’accordo di associazione Ue-Israele o il dialogo politico serve l’unanimità, impossibile da raggiungere tra i ventisette. Per imporre sanzioni di carattere commerciale o sospendere la partecipazione di Israele al programma di ricerca Horizon basta la maggioranza qualificata. Un gruppo di nove paesi – Belgio, Finlandia, Irlanda, Lussemburgo, Polonia, Portogallo, Slovenia, Spagna e Svezia – ha chiesto di usare un parere consultivo del 2024 della Corte internazionale di giustizia per vietare il commercio e gli investimenti con i territori occupati. Potrebbe essere un modo per sanzionare il governo Netanyahu, ma senza provocare una rottura senza precedenti con Israele.